La Lettura, 28 gennaio 2018
Il profeta (denigrato) dell’igiene in chirurgia
Chissà a chi sarà venuta l’idea di un titolo – The Butchering Art che in italiano è L’arte del macello (Bompiani) – tanto raccapricciante per un libro che peraltro è appassionante e testimonia come persone speciali, Joseph Lister in questo caso, chirurgo nell’Inghilterra vittoriana, sappiano cambiare – insieme si capisce ad altri colleghi illuminati – la storia della medicina. Fino alla metà dell’Ottocento i chirurghi operavano senza anestesia e lavoravano nella sporcizia più assoluta senza nemmeno cambiarsi il grembiule fra un intervento e l’altro. All’anestesia ci pensa un dentista di Boston che riesce a estrarre un dente senza far soffrire il malato grazie all’etere; non era il primo, ma gli altri i loro risultati non li avevano pubblicati, lui sì. E questo consente a tanti di fare interventi chirurgici senza che il paziente muoia di dolore; ma i risultati invece di migliorare peggiorano, anche perché chirurghi inesperti provano ad avventurarsi in interventi complessi con l’idea che il malato non avrebbe sofferto, «tanto c’è l’etere…».
E non era l’unico problema, il sudiciume delle sale chirurgiche (non si puliva nemmeno il tavolo operatorio) e l’abitudine di utilizzare gli stessi ferri fra un intervento e l’altro senza nemmeno lavarli favorivano il diffondersi delle infezioni. A questo punto il libro di Lindsey Fitzharris diventa un romanzo, fondato sulle vicende che portano il giovane studente Joseph Lister – figlio di Joseph Jackson, un esperto di lenti e microscopi – a confrontarsi con sale anatomiche, sezioni di cadaveri, ed esperienze personali di malati e malattie. Lister era bravo e fu anche fortunato; prima ancora di laurearsi operò una donna accoltellata dal marito, la signora aveva l’addome squarciato e diverse lesioni all’intestino che Lister riuscì persino a suturare; con un danno così a quel tempo di solito si moriva, invece andò tutto bene e il «Lancet» – era il 1851 – dedicò ben due articoli a quell’intervento, mai fatto prima da nessuno.
Lister però era costretto a confrontarsi ogni giorno con la terribile «cancrena ospedaliera» che quando colpiva un ammalato poi si diffondeva agli altri della stessa corsia. Fu allora che Lister intuì come le ferite putride andassero deterse, nessuno ci credeva ma lui aveva dalla sua il microscopio; capì che quei «corpi di dimensioni uniformi» che vedeva analizzando il pus potevano essere batteri. Una volta laureato, Joseph Lister da Londra va ad Edimburgo un po’ anche per non dover più «combattere contro la gelosia dei suoi rivali», scelta obbligata ma vincente dato che a Edimburgo c’era James Syme, il più grande chirurgo di quei tempi in Gran Bretagna.
Dopo qualche anno, Joseph potrebbe tornare a Londra al Royal Free Hospital, ma a quel posto concorre un altro giovane chirurgo meno bravo di lui, Thomas Wakley Junior, figlio del fondatore del «Lancet» che a Londra era molto influente; così Lister decide di rinunciare (ma nepotismo e baronie non erano vizi tutti italiani?) e resta in Scozia come assistente di Syme che ha due figlie bellissime, e lui perde la testa per la maggiore. Scienza, chirurgia, amore e religione (uno degli ostacoli perché Lister, quacchero, potesse sposare la figlia del capo) qui si mescolano in un racconto avvincente e documentatissimo. Lister finisce per sposarla, Agnes Syme, e poco dopo concorre per una cattedra di chirurgia a Glasgow che gli aprirebbe prospettive di carriera importanti; ma non è così semplice, giornali, parlamentari e comunità medica locale cercano di opporsi a questa nomina ma la bravura di Lister appena trentenne ha il sopravvento su qualunque altra considerazione.
A Glasgow Lister incontra colleghi fantastici come Lord Kelvin, quello delle leggi della termodinamica e Allen Thomson un bravissimo professore di anatomia microscopica; intanto le lezioni di Lister sono seguitissime, gli studenti lo adorano e a Glasgow cominciano ad arrivare studenti da tutta l’Inghilterra. In questo clima Lister fa una scelta coraggiosa, controcorrente e giustissima: utilizzare le corsie dell’ospedale come ambiente didattico. Fu criticato ma oggi noi sappiamo che aveva ragione lui, in questo modo Lister poté contare sui migliori studenti e sui migliori medici e chi ne traeva maggior vantaggio erano proprio gli ammalati. Ma il problema delle infezioni e delle ferite infette (soprattutto per incidenti sul lavoro per via dei cantieri navali, locomotive e petrolio) restava e la maggior parte degli ammalati che venivano operati purtroppo moriva. In un periodo così infelice per la chirurgia inglese Lister fu il solo a insegnare ai suoi studenti che ogni ammalato anche il più povero doveva avere le stesse attenzioni che si sarebbero riservate al principe di Galles in persona. È un principio sacrosanto che molti medici ancora oggi nei nostri ospedali non sempre osservano come si dovrebbe (ai suoi pazienti Lister rifaceva il letto e dopo la chirurgia chiedeva a ciascuno se fosse comodo sistemandogli eventualmente i cuscini).
Infezioni e febbri puerperali convinsero Lister a dedicarsi all’igiene delle corsie degli ospedali con sempre maggiore convinzione, tanto più che in quegli anni circolavano i risultati delle ricerche di Pasteur ed era diventato disponibile un antisettico, l’acido fenico, per la conservazione dei cadaveri per la dissezione. Lister cominciò a usarlo per disinfettare le ferite e in effetti qualche risultato si vedeva, tanto che riuscì a pubblicare i suoi risultati sul «British Medical Journal» e sul «Lancet». Seguirono polemiche, Lister fu criticato per non essere stato il primo a utilizzare l’acido fenico (lo si usava già da anni in Francia e Germania), ma James Wakley – il direttore del «Lancet» – scrisse un editoriale memorabile in cui difendeva Lister a spada tratta, sostenendo che oltre ad essere stato il primo a introdurre l’acido fenico in Gran Bretagna, aveva anche capito perché fosse così importante impiegarlo in chirurgia, «la si dovrebbe imitare questa esperienza scozzese ed anche in fretta».
La comunità scientifica però era contro, al punto da considerare le teorie di Lister l’ultimo giocattolo della scienza medica. Quando però Lister opera con successo la regina Vittoria per un voluminoso ascesso all’ascella disinfettando la ferita proprio con acido fenico, cambia tutto. Aver guarito la regina era la migliore conferma del valore delle sue teorie, e dopo che Sua Altezza aveva scelto proprio Lister per farsi operare, nessuno dei suoi colleghi ebbe più il coraggio di aprir bocca; come se non bastasse, Queen Victoria invita a Londra Pasteur che si dice entusiasta dei risultati di Lister. Adesso si trattava di convincere i chirurghi americani, impresa non facile (la mentalità dei medici di là dell’Atlantico allora come oggi è che le cose importanti le inventano loro, va anche detto a onor del vero che quando però si convincono di qualcosa di buono che viene dall’Europa sono i primi a incoraggiare l’impiego). A Filadelfia – prima tappa del suo lungo viaggio in America – Lister parla per due ore e mezzo del valore dell’antisepsi, e ricorre ad un vecchio trucco retorico; prima di dire della sua ricerca e dei suoi risultati, parla dei meriti dei chirurghi americani: «Se voi non aveste introdotto l’anestesia, nessun chirurgo avrebbe mai potuto affrontare i rischi degli interventi». Dopo Filadelfia Lister fu a San Francisco, Chicago e Boston, fu convincente e le sue teorie cominciarono a guadagnare consensi a dispetto dei (tantissimi) detrattori. Intanto Louis Pasteur compie settant’anni, lo festeggiano a Parigi alla Sorbona alla presenza di scienziati di mezzo mondo, Joseph Lister è lì a rappresentare l’Inghilterra e la Scozia ma soprattutto come amico e compagno di un’avventura intellettuale che aveva trasformato la chirurgia in una scienza.
L’ultima parte del libro di Fitzharris è piena di curiosità che solo pochissimi, anche degli addetti ai lavori conoscono: le intuizioni di Lister diventeranno presto patrimonio dell’umanità, fino a diventare un business di proporzioni globali. Due intraprendenti farmacisti che avevano assistito a una delle lezioni di Lister a Filadelfia, inventano e diffondono la «Listerina» fatta di timolo (derivato del fenolo), eucalipto e alcol, che si vende un po’ per tutto dall’igiene dei denti alla pulizia dei pavimenti. Anche Wood Johnson era a Filadelfia quel giorno e sentendo Lister gli venne l’idea di creare bende e suture chirurgiche a prova di sepsi (col passare degli anni dalle bende si arriva alla «Johnson and Johnson», una delle più grandi compagnie farmaceutiche del mondo). E se oggi tutti noi quando siamo malati possiamo contare sugli ospedali, è sempre merito di Lister. Se non fosse stato per lui gli ospedali sarebbero scomparsi, avevano capito tutti che era più pericoloso operarsi che andare in guerra.