Corriere della Sera, 29 gennaio 2018
In morte di Ingvar Kamprad
Il piccolo fiammiferaio che a 5 anni vendeva appunto fiammiferi, e a 17 anni fondava un’azienda chiamata Ikea, è morto. Ma per capire chi sia stato, non basta consultare l’«Indice Bloomberg dei miliardari», che ieri, al momento della sua scomparsa, certificava: Ingvar Kamprad, cittadino svedese, anni 91, ottavo nella lista dei più ricchi al mondo, patrimonio netto 47,2 miliardi e passa di euro. Molto di più rivela la foto di una scatoletta consunta di legno, con l’etichetta scritta a mano «Fiskekassa» – letteralmente «Cassa del pesce» – e dentro una manciata di monetine. La foto sta sul sito web dell’Ikea, quelle monetine erano ciò che Ingvar ricavava pedalando sulla bicicletta della madre fra le vicine di casa e vendendo loro a buon prezzo – oltre ai fiammiferi – i salmoni che pescava da solo. Poi vendette anche calze di nylon, penne, qualunque cosa. Teneva conto di tutto, il ragazzino, mai dimenticando di segnare un incasso. E così, anche così, è arrivato a creare il colosso che è il più grande venditore al dettaglio di mobili nella storia mondiale del commercio: fatturato stimato sui 38 miliardi di euro, 340 punti vendita su tutto il globo, un catalogo che con 212 milioni di copie stampate in 29 lingue nel 2013 sarebbe, si dice, il testo più letto e diffuso al mondo dopo la Bibbia.
Le 4 lettere di Ikea stanno per «I» come Ingvar, «K» come Kamprad, «E» come Elmtaryd, la fattoria di famiglia, e «A» come Agunnaryd, il villaggio natale. Ma chi fosse davvero Ingvar Kamprad, resta in fondo un enigma. Lo diceva un po’ anche il suo aspetto fisico: barbetta zen o da elfo, frequente negli ultimi anni; faccia tagliata con l’accetta come quella dell’attore Max Von Sydow, il cavaliere misterioso che sfida la morte nel «Settimo Sigillo»; e occhi di un blu intenso quasi identico a quello del logo Ikea.
Fin dall’inizio Ingvar è un genio creativo, certo, che sa indovinare i desideri della gente «normale» nel dopoguerra, e le possibilità del nascente consumo di massa in Svezia e altrove: il primo mobile scomponibile, da montare a casa, lui lo disegna e fabbrica da solo nel 1956, dopo aver visto un suo impiegato che smonta le gambe di un tavolo per farlo entrare nell’auto di una cliente. Promette da subito «una casa da sogno a prezzi da sogno», e fa di tutto per mantenere. Vivendo nel frattempo come un milionario, e poi un miliardario, spartano: o per i maligni, taccagno: una sorta di zio Paperone scandinavo, anche se fa molta beneficenza. Nato nello Smaland, la parte più povera della Svezia, vestirà spesso abiti di seconda mano, predicherà ai suoi dipendenti «quando scrivete, usate entrambi le parti del foglio», e secondo certi suoi biografi rimpiazzerà le bottigliette prese dai minibar degli alberghi con altre comprate al più vicino supermercato.
Ma questo stesso geniale e frugale Ingvar sarà anche una figura controversa per altre e più serie ragioni: la vicinanza in gioventù al partito neonazista svedese, per la quale un giorno avrebbe espresso un personale pentimento; le accuse di sfruttamento del lavoro minorile, riferite alla delocalizzazione di alcuni centri Ikea in Paesi come il Vietnam o l’India, dove i diritti sindacali non erano certo una priorità; e le critiche per i lunghi anni di residenza fiscale in Svizzera. Da vecchio, l’elfo tornò a vivere vicino al suo villaggio natale, là dove il padre faceva il taglialegna.