Corriere della Sera, 28 gennaio 2018
Caroline Wozniacki e la forza dell’amore
«Non sei tu, sono io. Non posso, mi spiace». Una telefonata ti accorcia la vita. Quella della regina d’Australia Caroline Wozniacki, 27 anni, danese di Odense figlia di immigrati polacchi, era finita una mattina del maggio 2014, quando il promesso sposo Rory McIlroy, drago irlandese del golf con la sensibilità di un elefante, l’aveva chiamata (a partecipazioni di nozze stampate) per dirle che no, questo matrimonio non s’aveva da fare, né domani né mai. «Mi ha lasciata al telefono. È stato un colpo durissimo. Dopo, non l’ho mai più sentito». Maledetto il giorno che t’ho incontrato, deve aver pensato Caroline scivolando lungo il piano inclinato della depressione, perdendo peso a vista d’occhio e terreno dalle avversarie, tanto da chiudere la stagione da n. 8 del mondo, lei che aveva già assaggiato il gusto zuccherino della vetta.
Quattro anni e zero titoli Slam dopo, eccola qui la bionda atomica baciata dai geni di pallavolista di mamma Anna e plasmata dal lavoro di papà Piotr, atleta sopraffina più che straordinaria giocatrice ma che importa in questo tennis femminile volubile e capriccioso, che sceglie la sesta campionessa Slam diversa dall’Us Open 2016: Kerber, Williams, Ostapenko, Muguruza, Stephens, Wozniacki, che oltre all’assegno da 4 milioni di dollari (lo stesso per cui si affrontano stamane Federer e Cilic) si annette il numero uno del ranking.
Caroline Wozniacki è la più forte tennista del mondo? Al netto della migliore nemica Serena Williams – che rientrerà a Indian Wells dalla licenza di maternità per riprendersi tutto con gli interessi: «Ben fatto, amica mia. Sono fiera di te» ha twittato ieri —, qui e ora, sì. Ma è un tennis che vive di momenti e avanza a strappi, pronto a rimangiarsi tutto già sulla terra di Parigi e poi sull’erba di Wimbledon, condizionato dal talento da perdente di Simona Halep, che a Melbourne butta via la terza finale Slam dopo le disfatte con Sharapova e baby Ostapenko al Roland Garros 2014 e 2017. Non è stata una brutta partita, però, tutt’altro, se si è disposti a valutare uno spettacolo il notevolissimo esercizio ginnico di una numero uno, la Halep, sbucata in finale con 11 ore di battaglie nelle gambe (3 match point annullati alla Davis e 3 alla Kerber), fiaccata da un colpo di calore e arrivata allo sprint decisivo (era avanti 4-3 nel terzo set) con il serbatoio della benzina a zero sparato. Peccato perché avrebbe meritato non meno di Wozniacki, che custodisce in tribuna i 206 centimetri per 111 chili del segreto della sua rinascita.
Si chiama David Lee, ha 34 anni, è un ex centro in Nba, 30esima scelta dei New York Knicks al draft 2005, poi con i Warriors a Oakland (anello 2015), i Celtics a Boston, i Mavericks a Dallas, gli Spurs a San Antonio, ultima franchigia prima di entrare nel ruolo di principe consorte itinerante. Lo scorso novembre ha chiesto in moglie Caroline che da allora, quando non impugna la racchetta, indossa all’anulare sinistro un brillocco da millanta milioni di dollari. «Devo tutto a mio padre, che mi ha portata a giocare a tennis a 6 anni, e a David, che mi ha ridato la serenità e mi ha tenuta tranquilla quando l’ansia della finale con Simona montava» ha detto ieri Caroline nel discorso di ringraziamento. A otto anni dalla prima finale Slam (Us Open 2009), a sei dall’ultima volta in cui è stata numero uno (un record), Wozniacki si conferma più fotogenica che bella, però di certo campionessa. «E adesso voglio vedere se non mi danno la copertina di Elle che mi hanno promesso...».
Vanitosa, perbacco, anche.