Corriere della Sera, 28 gennaio 2018
Inflazione, i dubbi degli economisti sul target del 2%
Davos E se il target dell’inflazione, vicino ma sotto il 2%, non fosse più adeguato a un mondo stravolto dalla rivoluzione digitale? «Le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale hanno drasticamente ridotto i costi delle transazioni. Siamo sicuri che il 2% usato come target dalle maggiori banche centrali del mondo sia ancora quello che era 20 anni fa? Non credo», sostiene Zhu Min, uno degli economisti cinesi più ascoltati, ex vice direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), ora presidente del National Institute of Financial Research della Tsinghua University di Pechino. «Dobbiamo capire che cosa significa oggi inflazione e decidere se è il momento di cambiare».
Il rompicapo è chiaro: perché la crescita è robusta ma i prezzi restano bassi a dispetto dei trilioni immessi dalle banche centrali nell’economia? E in un simile scenario ha senso cambiare i parametri?
La questione è «interessante», dice Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, sostenendo che «per alcuni Paesi il target dovrebbe essere più alto». I banchieri centrali sono di altro avviso. «L’inflazione non è una cosa del passato», sostiene Cecilia Skingsley, vice governatrice della banca centrale di Svezia. «La crescita lenta dei salari è un’eredità della crisi finanziaria. Avere un target per la stabilità dei prezzi è rassicurante per tutti in un mondo volatile». Secondo il governatore della Bank of Japan, Haruhiko Kuroda, «un target del 2% è ancora significato, rilevante e utile. Bisogna puntare a ottenere una qualche inflazione positiva, per far funzionare la politica monetaria e avere spazio di manovra. Quasi tutte le banche centrali del mondo hanno un target del 2%, ormai uno standard». Perciò, «meglio tenerselo». E continuare a stimolare l’economia giapponese.
Gli investitori sono pragmatici. Dimentichiamoci la curva di Phillips, che correla in modo inversamente proporzionale il tasso di inflazione e quello di disoccupazione, afferma Ray Dalio, fondatore, presidente e co-chief investment officer dell’hedge fund Bridgewater. «La tecnologia sta cambiando totalmente la relazione tra crescita e inflazione. L’enfasi sul ciclo è troppo grande». E tra il rischio di un’inflazione che sale a sorpresa al 2,5% e quello di una nuova crisi, dichiara di preferire senza dubbio il primo.