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 2018  gennaio 27 Sabato calendario

A Stampubblica suona l’ora della libera uscita

“Ci sono uomini di qualità che, messi in certi posti, risultano inadatti proprio per le loro qualità all’occhi di gente che qualità non ne ha, ma in compenso fa politica”
(da “La prima indagine di Montalbano” di Andrea Camilleri – Mondadori, 2004 – pag. 126)
 
Non sarà un gran danno per Repubblica, l’uscita del condirettore Tommaso Cerno che ha deciso di candidarsi nel Pd, ma neppure un grande guadagno per la politica. E forse, i primi a tirare un sospiro di sollievo saranno i sette vicedirettori che, appena tre mesi fa, avevano accettato o subìto questa nomina, scavalcati da un’imposizione del “nuovo” editore, il gruppo Gedi, costituito dalla famiglia De Benedetti e dalla Fiat. Ma, comunque lo si voglia giudicare, questo è un altro sintomo di quella crisi d’identità e di appartenenza che ha colpito il quotidiano di Eugenio Scalfari dopo la maxi-fusione da cui è scaturito l’ircocervo chiamato “Stampubblica”: insomma, libera uscita per tutti. Con il dovuto rispetto per la persona, questo abbandono non sarà un gran danno per il giornalismo perché Cerno, già direttore del settimanale L’Espresso e prima ancora del Messaggero Veneto, non ha avuto neppure il tempo d’identificarsi con Repubblica e di lasciare – per così dire – un segno nella storia del Gruppo che fu di Carlo Caracciolo. Tant’è che lui stesso ha spiegato la sua decisione come “una scelta di vita”, quando per molti che seguirono fin dall’inizio Scalfari in questa straordinaria avventura professionale la scelta di vita fu proprio quella di andare a lavorare nel suo giornale. Bisogna anche riconoscere, tuttavia, che il condirettore era stato già delegittimato poco tempo fa dall’ex editore e ancora presidente onorario Carlo De Benedetti, con l’improvvida intervista al Corriere della Sera in cui aveva criticato la sua investitura, destabilizzando così la direzione di Repubblica.
La candidatura di Cerno nelle liste del Pd non sarà neppure un grande guadagno per il partito di Matteo Renzi, e più in generale per la politica, perché non si vede come le “battaglie culturali” che lui rivendica – dai diritti civili alla libertà di pensiero – possano ora “diventare realtà” mentre prima dovevano essere evidentemente solo teoria. Se un giornalista ai vertici di due gloriose testate come L’Espresso prima e Repubblica poi, non è riuscito a promuoverle, che cosa gli fa sperare di ottenere risultati più concreti in un Parlamento “balcanico”, instabile e turbolento, come quello che già si annuncia per la prossima mini-legislatura? A meno che Cerno, in forza dei propri dichiarati orientamenti personali, non intenda impegnarsi legittimamente in una campagna trasversale contro l’omofobia, su cui meriterebbe tutta la nostra solidarietà. Se qualcuno sospettava ancora che Repubblica fosse un giornale-partito, eccolo dunque accontentato.
È vero che ai tempi del vecchio Espresso anche Scalfari si candidò e fu eletto deputato nelle file del Psi, ma quella fu una scelta di necessità – non di vita – per difendersi con l’immunità parlamentare dai contraccolpi giudiziari del “caso Sifar”. Ed è anche vero che, dopo di lui, altri colleghi del suo giornale hanno indossato la casacca del Pci, del Pds o dei Ds per entrare nel Parlamento italiano o europeo: nessuno di loro, però, aveva incarichi di vertice o responsabilità direttive che potessero impegnare la testata.
La verità è che con la candidatura-civetta di Cerno il partito dell’ex rottamatore fa una “campagna acquisti” da calciomercato, nel disperato tentativo di non essere rottamato a sua volta. Altro che competenza ed esperienza. Dal “partito liquido” si rischia di passare ora al partito liquefatto.