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 2018  gennaio 28 Domenica calendario

Lo sviluppo di McNamara. Ritratto del Segretario alla Difesa ai tempi del Vietnam

Rubricare Robert McNamara alla “C” di cold warrior con cui spesso si è liquidata una delle personalità più complesse della tecnocrazia statunitense è la cosa più immediata, eppure la meno adeguata per afferrarne la personalità. McNamara ebbe una formazione e una carriera per certi versi analoga a quella di molti suoi coetanei impegnati nell’amministrazione Usa del dopoguerra. Figlio della classe media della West Coast pesantemente ridimensionata dalle conseguenze della Grande Crisi, emerse giovanissimo come allievo brillante e poi collaboratore della Harvard Business School. Tenente colonnello nella Seconda guerra mondiale, impegnato fin dagli anni Quaranta nella riorganizzazione della Ford Motor Company fino a diventarne il primo presidente non appartenente alla famiglia proprietaria del gruppo di Detroit, fu segretario alla Difesa dal 1961 al 1968 con John F. Kennedy e Lyndon Johnson. Il suo impegno al Pentagono è quello oggi maggiormente ricordato poiché coincise con la resa dei conti nella guerra del Vietnam, altrimenti detta McNamara’s War. Un uomo il cui stesso aspetto, dalla postura all’abbigliamento, era l’idealtipizzazione del quiet american, finì per legare la sua memoria al tragico esito dell’impresa indocinese: l’episodio più stigmatizzante della Guerra fredda e il passaggio all’età adulta per il popolo degli Stati Uniti.
Patrick Allan Sharma, in un libro dedicato all’ultimo tratto della vita professionale di McNamara, dà conto di molte delle peculiarità dell’uomo e di come esse interagirono nel contesto della Banca Mondiale (dove approdò nel 1968), cambiandolo radicalmente e attuando un disegno organizzativo e politico che trasformò la fisionomia dell’Istituto. Contrariamente alle ambizioni globali che ne avevano segnato la nascita, fino alla fine degli anni Sessanta la Banca si era caratterizzata per essere uno strumento la cui vocazione era rimasta legata a obiettivi regionali piuttosto limitati. Da sempre guidata da funzionari americani – è del 2012 la nomina di un presidente asiatico –, nei primi decenni aveva erogato una serie di prestiti a settori produttivi di economie sviluppate in Europa, Asia e America Latina, ma non aveva mai finanziato programmi di sviluppo in settori come l’istruzione e la salute. L’orientamento verso la concessione di crediti esigibili rendeva la Banca un’organizzazione internazionale di ambizioni, dimensioni e progettualità contenute: un’istituzione perfettamente allineata al conservatorismo disfattista delle amministrazioni Eisenhower. I tredici anni di McNamara alla Banca, viceversa, si ispirarono a un modello gestionale nutrito su un aggiornamento pratico della “teoria della modernizzazione” che dai primi anni dell’amministrazione Kennedy era diventata opzione politica. Per l’ex segretario alla Difesa il quadrante dell’azione dell’Istituto si sarebbe dovuto spostare geograficamente verso teatri nuovi.In questa volontà si ravvisano nettamente i propositi delle amministrazioni dell’epoca. In primo luogo il modo in cui il modello statunitense avrebbe dovuto confrontarsi con la trasformazione del conflitto bipolare in coesistenza competitiva. Per tutti gli anni Sessanta il modello sovietico e quello cinese avevano continuato a esercitare nei confronti dei Paesi in via di sviluppo una forte attrazione. Erano questi gli interlocutori ideali presso cui doveva essere ri-fondato l’eccezionalismo americano. La svolta radicale che McNamara impresse alla missione della Banca si allineò al dogma dell’ingegneria dello sviluppo: era indispensabile che la strategia di finanziamenti dell’organizzazione s’indirizzasse verso i Paesi “premoderni” che potevano essere tentati dal modello sino-sovietico e garantisse il loro inserimento in un contesto di interdipendenza che ne assicurasse la stabilizzazione. Sotto la guida di McNamara il personale della Banca raddoppiò, fu introdotta la condizionalità nell’erogazione dei prestiti, e la missione istituzionale dell’istituto fu collegata a programmi di aggiustamento strutturale che prevedevano massicce privatizzazioni e liberalizzazioni destinate a provocare stravolgimenti sociali irreversibili nei Paesi destinatari dei finanziamenti. Era l’alba di quello che alla fine degli anni Ottanta si sarebbe chiamato Washington Consensus.
Sharma spiega in maniera persuasiva il nesso tra idee economiche e opzioni politiche, e mostra quanto la trasformazione della Banca sia stata funzionale a un più ampio disegno di riposizionamento degli Stati Uniti nel sistema internazionale degli anni Settanta. Per far ciò descrive la fase negoziale di un’impressionante serie di finanziamenti in aree del mondo fino allora esterne al raggio d’azione dell’Istituto. Meno esaurientemente affronta il colossale problema di quanto questa trasformazione fosse presente negli obiettivi politici della Banca. Quando, per esempio, sono ricostruiti interventi che finirono per stabilizzare regimi fortemente repressivi – quello di Suharto in Indonesia su tutti – raramente si connette in maniera convincente la forza degli aggiustamenti strutturali proposti alla violenza sociale che essi produssero. Si tratta di un piano parallelo a quello analitico sviluppato brillantemente da un libro che ha il merito di completare la conoscenza su quanto gli Stati Uniti, storditi dalla perdita della guerra in Vietnam e travolti dalla conclusione drammatica dell’amministrazione Nixon, si ripensarono negli anni Settanta; eppure una maggiore evidenza del nesso tra le conseguenze politiche di certe idee economiche avrebbe ancora meglio messo a fuoco le contraddizioni di quella strategia. Contraddizioni che non potevano avere interprete migliore dell’enigmatico McNamara.
mauro.campus@unifi.com
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Patrick Allan Sharma, Robert McNamara’s Other War. The World Bank and International Development, Penn Press, Philadephia, pagg. 228, $ 39,95