Il Sole 24 Ore, 28 gennaio 2018
Le soluzioni per hackerare il sonno
In futuro la tecnologia potrebbe ridurre di molto l’umano bisogno di dormire – per chi se lo potrà permettere – creando un fossato inaudito: per la prima volta infatti l’esperienza biologica, cioè il modo di vita, dei ricchi potrebbe essere radicalmente diverso da quello dei poveri.
Secondo Marcelo Rinesi, del think tank Usa Institute for Ethics snd Emerging Technologies, entro i prossimi vent’anni i militari potrebbero riuscire a ridurre il nostro bisogno di dormire, fino a scendere a due sole ore al giorno. Fantascienza? Può darsi. Fatto sta che il Darpa (Defense Advanced Research Programs Agency, l’agenzia federale Usa per la ricerca militare) lavora già da anni a questo obiettivo. Per non parlare del fatto che, tra università quotate e gruppi di self-hacker, i tentativi di hackerare il sonno, riducendone il bisogno, non mancano di certo.
Gli attuali approcci si possono ridurre a tre categorie: dispositivi high-tech, farmaci e tecniche – ossia procedure per organizzare il sonno. Per la prima categoria, citiamo innanzitutto Matthew Walker, del Sleep and Neuroimaging Lab di Berkeley, che sta cercando di influenzare il ciclo sonno-veglia utilizzando la tDcs (transcranial Direct-current stimulation), in pratica una lieve corrente elettrica somministrata attraverso appositi elettrodi, allo scopo di rendere l’assopimento più rapido, ottimizzandolo. Immaginate ad esempio di poter utilizzare un apparecchio simile per rendere il vostro pisolino pomeridiano ancora più efficiente ed energizzante. Ci sono anche dispositivi già acquistabili,come il Fisher Wallace Stimulator, un dispositivo prodotto dai newyorkesi Fisher Wallace Laboratories che utilizza la corrente elettrica per influenzare la produzione di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina, o composti come il cortisolo, e di conseguenza l’umore, il sonno e il livello di stress. Lo strumento, autorizzato dall’Fda, è già utilizzato in diversi ospedali newyorkesi.
Giovanni Santostasi, neuroscienziato della Northwestern University Feinberg School of Medicine, ha sviluppato un dispositivo che si basa sul “rinforzo” del sonno tramite appositi suoni somministrati in momenti specifici del ciclo del sonno, e che in futuro potrebbe consentirci di dormire di meno. Ci troviamo comunque in un territorio inesplorato: sia Santostasi che alla Fisher Wallace ammettono di non sapere di preciso come i loro apparecchi interagiscano con il cervello; sanno solo che sembrano funzionare. La Fisher Wallace utilizza l’elettricità, Santostasi i suoni, mentre il Darpa punta sulla manipolazione termica. In questo caso il dispositivo si chiama Somneo Sleep Trainer, e consiste in una maschera high-tech che incoraggia il sonno tramite il calore – in particolare attorno agli occhi – e favorisce il risveglio attraverso la medesima, famigerata luce blu che disturba il nostro sonno attraverso cellulari e laptop. L’idea è quella di consentire ai soldati di addormentarsi e risvegliarsi rapidamente. E poi, ovviamente, ci sono i farmaci, comunemente utilizzati da studenti e professionisti per influenzare – leggi ridurre – il sonno; ad esempio l’Adderall – un’anfetamina – e il Modafinil, un farmaco per la narcolessia. Ovviamente il Darpa ha deciso già da tempo di finanziare la ricerca di composti che possano hackerare il sonno sul serio, riducendone il bisogno e mantenendo la funzionalità cognitiva anche per lunghi periodi di tempo. È dal 2007 che l’agenzia sta testando un composto chiamato Orexin-A, che dovrebbe curare la narcolessia e sì, anche ridurre temporaneamente il bisogno di dormire. E infine ci sono le procedure, ossia le tecniche di dubbia efficacia che alcuni self-hacker raccomandano, come il cosiddetto sonno polifasico, il tentativo cioè di stabilire una routine del sonno diversa dalla classica di 8 ore filate di sonno.
Citiamo poi l’“effetto prima notte”, noto a tutti i turisti, per cui la prima volta che ci si trova a dormire non nel proprio letto si tende a riposare male. Secondo Masako Tamaki, ricercatrice della Brown University, ciò dipende dal fatto che il nostro cervello, trovandosi in una situazione nuova, tende a mantenersi vigile. Le sue analisi hanno mostrato che, nel contesto in questione, l’emisfero sinistro è insolitamente più attivo. Si tratta di un fenomeno osservato con maggiore intensità tra i cetacei, mammiferi che, per evitare di sprofondare nell’oceano e affogare, hanno imparato a dormire con un solo emisfero alla volta. E ovviamente il Darpa ha già mostrato interesse per il “sonno monoemisferico”: non dimentichiamoci infatti del Psd (Preventing Sleep Deprivation), il suo progetto (da 20 milioni di dollari) che mira tra l’altro a studiare questa capacità di delfini e balene, nella speranza di trasferirla ai propri soldati, consentendo loro di rimanere svegli ed efficienti fino a sette giorni di fila.
E il futuro potrebbe riservarci addirittura la scomparsa totale dei letti, sostituiti da capsule high-tech a forma di bolla capaci di ottimizzare il sonno – controllando suoni, temperatura, parametri fisiologici –, riducendone il bisogno a sole 5 ore per notte. A sostenerlo è uno studioso della Duke University, David Samson. Secondo il ricercatore, tra tutti i primati, gli esseri umani sono quelli dotati del sonno più efficiente. Samson ha esaminato 21 specie di scimmie, notando che gli scimpanzé hanno bisogno di 11,5 ore di sonno per notte, mentre le lemuri dormono tra le 14 e le 17. Questo dipenderebbe dal fatto che gli esseri umani hanno creato un ambiente molto più sicuro (fuochi, mura), riuscendo a dormire meglio, e quindi di meno. E tra l’altro le suddette capsule esistono già, in aeroporti all’avanguardia e nelle sedi di alcune compagnie – come Google. E, per chi fosse interessato, la newyorkese Hammacher Schlemmer offre un modello di capsula per dormire, il Tranquillity Pod, al costo di 30mila dollari.