Il Sole 24 Ore, 28 gennaio 2018
Riad: torna libero al-Waleed. Il miliardario era agli arresti con altri tycoon dopo la retata anticorruzione
Loro negano. O preferiscono non commentare. Ma per al-Waleed bin Talal, il più ricco businessman saudita, e per il tycoon al-Waleed bin Ibrahim, fondatore della Middle East Broadcasting Centre (Mbc),il prezzo da pagare per la libertà potrebbe esser stato davvero alto. Anche una quota sostanziosa dei loro imperi.
Dopo due mesi di detenzione in un maestoso hotel trasformato in carcere di lusso, i due ricchi “principi imprenditori” sono stati liberati insieme ad altre persone. Tra cui il tycoon della grande distribuzione, Fawazal-Hokair. Bin Ibrahim, 56 anni e bin Talal, 62, sono due dei nomi eccellenti tra le 200 persone arrestate il 4 novembre in una colossale operazione anti-corruzione decisa dal sempre più potente principe Mohammed Bin Salman(noto anche come Mbs), l’erede designato al trono che vuole cambiar volto all’economia saudita con una serie di riforme per lanciarla nell’era del dopo petrolio.
Come tutti gli altri, Talal e Bin Ibrahim si sono trovati davanti a un dilemma: ammettere le proprie colpe e riparare il mal tolto, o affrontare un processo il cui esito appare tuttavia scontato. Su 206 persone arrestate, tra le quali compaiono diversi ex ministri e membri della famiglia reale, 95 sarebbero già state liberate prima di ieri dietro costosissime cauzioni o dopo aver rinunciato a ingenti quote dei loro patrimoni. In almeno un caso una persona arrestata avrebbe rinunciato al 70% del suo patrimonio. C’è dunque chi ha quasi subito accettato di pagare in cambio della libertà. Come il principe Mutaib bin Abdullah, forse il più potente e pericoloso rivale per Mbs, a capo della Guardia nazionale tra il 2013 ed il 2017. Rilascito a fine novembre dopo aver pagato una cauzione da un miliardo di dollari.
E c’è chi,invece, ha voluto opporre resistenza. Come bin Talal. Nella prima intervista rilasciata dal giorno della detenzione il “Warren Buffet d’Arabia”, dotato di un patrimonio di 16 miliardi di dollari, ha annunciato che i «malintesi» con il Governo saranno presto chiariti. «Non ci sono accuse. Credo che in pochi giorni finirà tutto. Non ho nulla da nascondere. Sono tranquillo e rilassato». Secondo il suo staff, Talal resterebbe al timone della Kingdom Holding,colosso finanziario con partecipazioni in Apple, News Corporation, Twitter, Citigroup e Microsoft, in cui detiene il 95 per cento.
Il volto saudita che piace al mondo si era rifiutato di pagare una cauzione di un miliardo di dollari. Restano tuttavia dei dubbi. Se la richiesta per la sua libertà è stata davvero di sei miliardi di dollari – come aveva scritto il Wsj – la strada quasi obbligata sarebbe smembrare il suo impero o cedere il controllo di Kingdom Holding al Governo. Resta il fatto che dal blitz anti-corruzione il gruppo ha perso quasi il 20% e oggi vale 8,7 miliardi di dollari. Quanto a bin Ibrahim era circolata voce che in cambio della sua liberazione Riad avesse chiesto la cessione del controllo della Mbc, un impero mediatico che conta 12 reti satellitari e 140 milioni di spettatori al giorno. A ieri non erano ancora chiari i termini dell’intesa.
È indubbio che a Bin Salman gli imperi dei tycoon sauditi facciano gola. Anche Bakr bin Laden, 69 anni, fratellastro del defunto Osama, è stato uno degli uomini di affari colpiti dalla purghe. Prima del fermo era a capo della Saudi Binladin Group, colosso industriale delle costruzioni edili. Alcuni degli azionisti sono stati rilasciati dal Ritz Carlton dopo avere raggiunto un accordo per traferire le loro azioni al Governo.
Sembra stia avvenendo una serie di tentativi di nazionalizzazioni forzate. Agli occhi del determinato Bin Salman, il fine pare giustificare i mezzi. Senza dubbio in Arabia la corruzione aveva raggiunto livelli insostenibili. Ma il mezzo per estirparla, e ridare ossigeno alle casse dello Stato, somiglia a un atto di forza per liberarsi anche del dissenso. Insomma è in corso una sorta di patteggiamento extragiudiziale alla saudita. E non sono pochi ad averlo accettato. Per centrare gli obiettivi di un budget eccessivamente oneroso – il più alto nella storia del Paese – il ministro delle Finanze punta a prelevare dai businessman e principi che si sono macchiati di corruzione oltre 100 miliardi di dollari. L’equivalente del debito saudita.
L’imperativo è creare un ambiente favorevole agli investimenti stranieri. E rilanciare l’economia creando milioni di posti di lavoro. Ma l’impressione è che l’erede al trono abbia messo troppa carne al fuoco. Troppe le riforme, e troppo poco il tempo per realizzarle. Il piano di privatizzazione alla fine è un piano statale. L’ultima parola spetta agli investitori stranieri. E queste purghe anti-corruzione, insieme ai tentativi di nazionalizzazioni forzate, non sono certo un incentivo. Gli improvvisi rilasci dei ricchi businessman accusati di corruzione potrebbero andare in questa direzione. Rassicurare gli investitori stranieri. E rinunciare a parte dei risarcimenti.