Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 29 Lunedì calendario

Niente panico: i treni restano molto più sicuri delle strade

Come già accaduto nel passato in circostanze analoghe, nelle ore immediatamente successive all’incidente ferroviario avvenuto giovedì in Lombardia e costato la vita a tre persone, da più parti si sono levate voci di denuncia della scarsità di risorse destinate al settore del trasporto pubblico locale e della inaccettabilità delle condizioni di sicurezza sulla rete ferroviaria: “Non è accettabile che delle persone muoiano in questo modo, mentre vanno a lavorare o studiare” (Laura Boldrini); “Morire così, nel 2018, in una nazione che fa parte del G8 è francamente inaccettabile” (Giorgia Meloni); “Episodi del genere non devono più accadere” (M5S). Giornali e telegiornali hanno dedicato alla notizia lo spazio di apertura. Eppure, se si prova a superare la comprensibilissima emozione legata all’accaduto, qualcosa non torna. Proviamo a dire perché.
Ogni giorno sono poco più di diciotto milioni gli italiani che si recano nel luogo di lavoro o di studio. Di questi, una minima parte, meno di un milione, si spostano in treno. La stragrande maggioranza si serve dell’auto o della moto. Costoro corrono un rischio che è di gran lunga maggiore rispetto a quello che interessa i viaggiatori in treno. In ferrovia il numero di decessi medio nell’ultimo lustro è risultato pari a cinque; sulle strade perdono la vita ogni anno 2.400 conducenti di veicoli. È come se ogni giorno accaddessero due incidenti come quello occorso giovedì a Pioltello.
Quanto alle risorse, vi è una radicale disparità di trattamento tra pendolari che utilizzano l’auto e quelli che si servono del treno. I primi, infatti, si fanno carico interamente dei costi del proprio spostamento: pagano, per via fiscale e di pedaggio, i costi correlati alla costruzione e alla manutenzione della rete stradale e tutti quelli connessi all’utilizzo del veicolo. Non solo: ogni anno entrano nelle casse dello Stato all’incirca 40 miliardi di euro al netto delle spese sostenute da tutte le amministrazioni pubbliche. La condizione della ferrovia è simmetrica. Chi si serve di un treno non contribuisce neppure in minima parte ai costi di costruzione delle linee. E sopporta solo una parte minoritaria, intorno a un terzo, di quelli relativi alla circolazione dei convogli. Nel caso degli abbonati tale percentuale è ancora più contenuta: approssimativamente solo un quinto; tutto il resto è a carico dei contribuenti attuali o futuri.
Tale diversità di trattamento appare di assai dubbia giustificazione dal punto di vista dell’equità. La parte largamente prevalente dei pendolari che usano il treno sono impiegati e studenti che si dirigono verso le aree centrali delle maggiori città, mentre categorie con redditi del tutto paragonabili, come operai e artigiani, e più in generale chi effettua spostamenti in aree periferiche spesso non ha alternativa all’uso dell’auto.
Ma torniamo agli incidenti. Nelle attuali condizioni non vi è dubbio che il migliore utilizzo delle risorse pubbliche da destinare alla sicurezza degli spostamenti sia quello che preveda l’impiego pressoché esclusivo delle stesse a favore della strada.
Il contributo più rilevante per la sicurezza dei trasporti che potrebbe oggi venire dalla ferrovia è quello, indiretto, che si conseguirebbe con un miglioramento dell’efficienza produttiva e la riduzione dei sussidi pubblici: se anche una modesta quota parte delle risorse che attualmente l’Italia e gli Stati europei destinano al trasporto su ferro (quasi 50 miliardi di euro all’anno) venisse destinata alla sicurezza stradale, la riduzione del numero di vittime di incidenti sarebbe dell’ordine di qualche centinaio di unità per anno.
Per quanto riguarda la sicurezza della rete, sembra davvero difficile ipotizzare alla luce della loro entità che gli attuali trasferimenti pubblici per la manutenzione non siano adeguati. In ogni caso, qualora in specifici ambiti si evidenziasse una carenza di finanziamenti, le risorse integrative dovrebbero essere reperite attraverso la cancellazione o, quantomeno, il ridimensionamento di grandi progetti i cui benefici risultano essere di gran lunga inferiori ai costi oppure con l’aumento del prezzo di biglietti e abbonamenti.

*professore di Trasporti e logistica all’Università di Torino