Tuttolibri, 28 gennaio 2018
Intervista al Nobel per la Letteratura Salman Rushdie: Grazie a Harry Potter sono diventato un mito per mio figlio
È uno dei grandi scrittori viventi e fra le prime cose dette dal nuovo Nobel per la Letteratura Ishiguro c’è che il Premio avrebbero dovuto darlo a lui, Salman Rushdie. «Non mi stupisce abbia scelto quel momento per lodare me e Murakami, perché è un amico e una natura sinceramente distaccata dal successo», si schermisce l’autore angloindiano, di cui è uscito il nuovo romanzo, La caduta dei Golden. È la storia di una figura di cui letteratura e storia sono piene, l’homo novus, il self made man, il parvenu, l’uomo in fuga da un passato oscuro e creatore di una fortuna ostentata e sospetta. Geniale, un po’ cafone, Nero Golden assume i tratti di tanti personaggi veri e finti, da Nerone a Trimalcione a certi potentissimi di oggi. Ma a raccontarla è un narratore, René, personaggio a sé e altra figura molto letteraria.
Nel suo libro ci sono tanti libri, citati o solo evocati. Il tema della «caduta» che romanzi ha dietro? IBuddenbrook, ilGrande Gatsby?
«Sì, questi ci sono, qualcuno ha detto che c’è anche Il padrino ma direi piuttosto che il mio ricalca il bildungsroman, perché il narratore non è una figura marginale ma un uomo che cresce nel corso del romanzo. Il mio René non è come Nick Carraway, che nella storia tra Gatsby e Daisy resta fuori e non si immischia. Il romanzo, però, riguarda similmente la reinvenzione del Sé. Nero Golden non è il vero nome del protagonista, Jay Gatsby nemmeno. Entrambi sono andati incontro a seri guai per romanzare se stessi. Lo hanno fatto per ragioni diverse, Gatsby per amore, Nero per paura. Con Fitzgerald condivido anche un’altra cosa, lui cercava di catturare il momento in cui il libro è stato scritto. Era così bravo che lo accusarono di aver fatto del “gossip contemporaneo”. Cogliere “un” momento “nel” momento in cui scrivi è quel che ho cercato di fare».
La descrizione della casa. Lei cita la Domus Aurea e Casa Addams, neiBuddenbrookil palazzo è centrale. Perché la casa affascina gli scrittori?
«Perché la casa dice tutto. Se leggi Eugenie Grandet Balzac ti racconta la città, il quartiere, la casa, la stanza e poi la donna nella stanza. Quando la incontri, sai già tutto di lei. Volevo fare lo stesso con Nero Golden, ho descritto la città, il quartiere, il giardino e tutto è così com’è davvero. La casa no, è inventata, perché i ricchi hanno un rapporto smodato con la propria identità, e lo vedi dalle loro case».
A proposito di case, com’è organizzata la biblioteca di Salman Rushdie?
«Non me l’ha mai chiesto nessuno... C’è una grossa divisione fra narrativa e no. La narrativa è in ordine alfabetico per autori, ma all’interno della A, per esempio, l’ordine si perde, non voglio sia una cosa ossessiva. Nella parte “non fiction” tengo una sezione per le biografie, una per i libri sull’India, una sul cinema e una sulla storia islamica. E poi due sottosezioni sulla poesia e il teatro. Il tutto prende l’intera casa. Parlarne mi fa pensare al fatto che io non ho mai conosciuto Borges di persona ma una volta, a Buenos Aires, la vedova mi ha mostrato la sua biblioteca. In una sala c’erano solo enciclopedie, di tutti i tipi. Di moda, di baseball e poi enciclopedie di enciclopedie. Doveva esserne ossessionato».
Quando, come e cosa legge?
«Non avendo un lavoro normale posso sempre, sto a casa e leggo. Seduto. Quanto al cosa, se sto scrivendo, solo testi intorno al libro. Quel che ho smesso di fare è cercare di star dietro alle novità. Se sono buone ci saranno anche dopo e avrò il tempo di leggerle, se spariscono mi sarò risparmiato una fatica. Più Balzac e meno “sensation” del momento».
Letteratura antica, in questo libro è molto evocata. La legge in lingua?
«Non so il greco, leggo il latino. La mia cultura classica è a metà. Ma la tragedia greca è stata fondamentale per me. Nella tragedia greca tu capisci fin dall’inizio che qualcosa di terribile sta per colpire il protagonista. Lui non lo sa, noi lettori sì, dobbiamo solo aspettare che il destino si compia. È l’inevitabilità del destino, e la conosciamo dai Greci».
Letteratura umoristica. René si definisce un fan di Wodehouse, lei ?
«In India l’autore che tutti amano e leggono non è Kipling, sono Agatha Christie e Wodehouse, e anch’io ho preso questo carattere nazionale».
Letture spirituali. Lei mostra di conoscere la Bibbia, cita san Paolo. Quando e come l’ha letta? E il Corano?
«La Bibbia l’ho studiata a scuola, nella versione di Re Giacomo. Vale la pena anche solo per la lingua, bellissima. Il Corano, non sapendo l’arabo, l’ho letto solo in traduzione. Il problema è che non è narrativo».
Nel suo libro si cita Proust solo ricordando la nostra Ornella Muti protagonista del film «Un amore di Swann». Non ama laRecherche?
«Io sì certo, l’ho letta tutta. René, che è un “movie boy”, le direbbe che gli basta aver visto il film. Mi sono ripromesso di leggerla di nuovo perché la versione disponibile prima era ben scritta ma non esatta, a cominciare dal titolo: “Remembrance of Things Past”, cioè “Ricordi di cose passate”, esattamente quello che lui non ha fatto. Proust si è sforzato di andare oltre la memoria, alla ricerca di quel tempo che ci sembra di non ricordare, sulla falsariga del Temps retrouvé. I ricordi non c’entrano. Ora è stata ritradotta e il titolo corretto: “In Search of Lost Time”».
Un libro sopravvalutato?
«È un’eresia per il mondo anglofono, ma direi Middlemarch. Non che non ami George Eliot, ma quel libro l’ho trovato faticoso. È difficile che una donna come Dorothea abbia potuto sposare un uomo così noioso. E se c’è un personaggio così noioso è difficile che il romanzo non lo sia».
Un libro sottostimato da rivalutare?
«Non credo sia sottostimato nel mondo ispanico ma poco conosciuto al di fuori. Un piccolo magnifico romanzo, Pedro Paramo di Juan Rulfo. Ha scritto solo questo e dei racconti, ma viene prima di García Márquez, che diceva di averlo imparato a memoria. Quando lo leggi capisci da dove viene Macondo. E ha uno degli incipit più belli della letteratura».
Pratica la ri-lettura?
«Sì, di recente ho riletto Lolita ed è meglio di quel che ricordavo. La prima volta ero concentrato sull’azione, ora penso che la parte più interessante sia il viaggio che fanno nell’America dei motel e del junk-food. Poi ho riletto Passaggio in India e la sorpresa è stata che avevo dimenticato quanto fosse antimperialista. E in tempi in cui non era “cool”. Per il mio romanzo poi ho riletto testi su New York, L’età dell’innocenza, Washington Square. E i Fratelli Karamazov perché racconta di un patriarca con tre figli. Ma non mi ha aiutato, siamo troppo diversi».
Tutti ricordiamo il suo cameo nelDiario di Bridget Jones. Legge anche «Chick lit»?
«Ho letto quello perché l’autrice è una mia amica. La cosa buffa però è che nel libro lo scrittore non sono io, è Julian Barnes, ma il produttore diceva che nel film non lo avrebbero riconosciuto».
Nel suo romanzo i genitori di René muoiono in un incidente stradale ascoltando un audiobook dell’Odissea. Lei li usa?
«Quella cosa è un po’ autobiografica, perché l’unico audiobook che ho ascoltato è l’Odissea e l’ho fatto in macchina, durante un viaggio in Australia per andare a trovare un amico. Stavo guidando e ascoltando finché da una strada laterale mi è piombato addosso un camion carico di... concime, cioè merda. Ma mi ha portato fortuna e sono sopravvissuto. In realtà però ho “letto” in audiobook anche i primi due Harry Potter col mio figlio più piccolo che non sapeva ancora leggere, per capire di che cosa parlasse sempre. I figli non pensano mai che il padre sia “cool”. Ma una delle poche cose cool che ho fatto è stata incontrare J.K. Rowling. Dopo, mio figlio mi ha detto: “All right Dad, that’s cool!”».