La Stampa, 28 gennaio 2018
Descalzi, ad di Eni: la stabilità del prezzo del petrolio fa bene al mercato
Per gli uomini dell’Energia è stata una buona Davos. «L’atmosfera mi è parsa un po’ più rilassata rispetto agli anni scorsi perché è l’andamento dei fondamentali a guidare il settore petrolifero ed energetico», concede Claudio Descalzi, nello stilare il bilancio a fiera globale finita. Un momento discreto, assicura l’ad dell’Eni. Perché «quando non è la speculazione a segnare il clima, ma la parte fisica del nostro business, allora le turbolenze sono minori: e questa è una buona notizia».
Si è parlato di come dare la carica al Pianeta, al World Economic Forum sul quale è calato il sipario venerdì sera. Grandi dibattiti sulle risorse e sul futuro, anche se poi tutto gira intorno alla questione più semplice: lo stato di salute dell’oro nero e i suoi possibili effetti. La lezione del passato è che anche solo un picco, o uno scivolone, può far tremare fior di governi e imprese.
Ma ora siamo «più rilassati». Come ci siamo arrivati?
«Nel 2017 c’è stato un disavanzo di offerta, rispetto alla domanda di greggio, di 500 mila barili in media. Per la prima volta in tre anni questo ha portato a una riduzione delle scorte anno su anno di circa 160 milioni di barili. Lo sbilanciamento fra offerta e domanda dovrebbe riprodursi nel 2018, erodendo ulteriori 100-150 milioni di barili, sino a un equilibrio strutturale. Adesso bisogna essere capaci di mantenere una stabilità strutturale del sistema che non oscilli tra prezzi troppo alti o troppo bassi che diventano un chiaro problema per i consumatori e anche per gli investitori».
Qual è il prezzo giusto del petrolio?
«Un intervallo su cui sembrano essere d’accordo la più parte di investitori, analisti e Paesi produttori oscilla fra i 65 e i 75 dollari al barile».
È una soglia a rischio?
«Gli elementi che incidono sul prezzo sono molti. Se le scorte dovessero essere troppo basse, saremmo più facilmente esposti alle volatilità geopolitiche. Il comportamento dei produttori conta molto: l’accordo trovato fra Paesi Opec e no ha riportato la stabilità. Certo se ci fosse una intesa fra tutti i più grandi produttori (come vorrebbe l’Arabia Saudita) per evitare gli eccessi di produttività e incoraggiare gli investimenti conseguenti sarebbe una buona medicina. Ma non è semplice».
Come vede il gioco geopolitico del petrolio?
«L’accordo Russia-Arabia Saudita è stato cruciale per la stabilizzazione del mercato e ha una doppia valenza sia di scenario che geopolitica, dimostra l’interesse di Mosca per l’area nordafricana e mediorientale: è un filone importante che apre a possibili interscambi e comunicazione. Gli Usa stanno bene, hanno un buon mercato e hanno le risorse, l’energia per svilupparsi. Anche russi e sauditi hanno risorse e mercato».
L’Europa molto meno.
«Siamo un grande mercato, ma non abbiamo energia ed è una debolezza che non sempre viene considerata come dovrebbe. La Cina ha energia, ma gliene occorre di più: l’aiuta la grande crescita su cui a Davos si sono mostrati tutti ottimisti. Analoga è la situazione in India. Mentre l’Africa ha l’energia, ma non è stata finora in grado di metterla a disposizione della sua crescita interna. Questo è il quadro. Ovviamente è meglio posizionato chi ha sia l’energia che il mercato».
Una debolezza non considerata, quella europea. Che si può fare?
«Affrontarla con la diversificazione delle fonti energetiche e la connessione delle tante infrastrutture su cui si è investito in passato. Da un punto di vista energetico siamo troppo deboli come continente per continuare con politiche energetiche nazionali. Quando si è senza energia, bisogna stare insieme. Abbiamo delle forti strutture, ma fatichiamo a interconnetterle, e lo dico pensando al gas».
Parliamo dei Paesi.
«La Spagna è mal collegata, la Francia è divisa in tre e anche l’Italia non è ben connessa, i flussi da Sud a Nord fanno fatica. Sarebbe bene ripensare le regole, fiscali, doganali, e gestionali. Dovrebbero essere più omogenee e semplici. Un esempio emblematico di mancanza di sinergia sono gli stoccaggi di gas».
L’Italia ha esigenze particolari.
«Certo. Importiamo circa il 90% del gas, ma siamo connessi all’Africa attraverso due importanti gasdotti e siamo nel bacino Mediterraneo che si è dimostrato ricco di gas. Una politica energetica comune europea sarebbe un’opportunità per l’Europa di essere connessa all’Africa e di avere una vera e propria diversificazione e un’opportunità per l’Italia di diventare un eccellente hub».
Cos’è cambiato nel grande gioco con Trump?
«Gli States sono un’isola felice dal punto di vista energetico. Al di là di quello che si legge, in America quello che conta è il mercato. Bisogna ricordare che la più grossa crescita produttiva di petrolio e di gas è avvenuta nel periodo di Obama».
E i russi più aggressivi?
«Direi che sono più proattivi. Occupano spazi che prima non c’erano. Giocano d’anticipo e inseguono alleanze. Sono dei politici che hanno un approccio imprenditoriale alla politica».
Andiamo fuori tema. Si approssima la sentenza sul caso nigeriano.
«Entriamo nella fase processuale in cui sono finite le indagini e ci sarà un dibattito. Potremmo difenderci e dire la nostra. In questi tre anni il cda e gli organi di controllo hanno fatto delle analisi esterne e interne di vario tipo che hanno verificato la correttezza dei processi seguiti. Per tre volte il cda ha dichiarato fiducia alla struttura e a me, e anche la sicurezza che le regole sono state rispettate. Detto ciò, sono sereno, aspetto il dibattimento. Come sempre rimango focalizzato sull’azienda e sulla sua crescita».