La Stampa, 29 gennaio 2018
L’appello di familiari ed esperti: «L’Alzheimer è un’emergenza, non potete abbandonarci»
«C’è qualcosa che prima riusciva a fare e che ora invece le sembra impossibile?». È la domanda chiave secondo Stefano Cappa, professore di Neurologia allo Iuss di Pavia, direttore scientifico dell’Ircss Fatebenefratelli di Brescia e presidente della SinDem (associazione che aderisce alla Società italiana di neurologia). Nel mondo, ogni 3,2 secondi una persona risponde di sì. Secondo le stime (2015), sono infatti 9,9 milioni i nuovi casi di demenza all’anno.
Un fenomeno enorme, che aumenta con l’invecchiamento generale della popolazione: a livello globale, le proiezioni sul 2050 calcolano che 135 milioni di persone soffriranno di demenza (tra queste il 50-60% di Alzheimer). Oggi sono 47 milioni, circa 1,2 in Italia, per una spesa che, fra costi sociali e sanitari, nel nostro Paese sfiora i 38 miliardi di euro. Perché ci sono le medicine, la retta dell’rsa, le assenze dal lavoro dei parenti (quando non il licenziamento).
«In Italia – calcola Mario Melazzini, direttore dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) – la demenza coinvolge 3 milioni di persone tra malati, familiari, badanti». Cosa chiedono? «Di non essere lasciati soli» risponde Mario Possenti, segretario generale della Federazione Alzheimer Italia.
Quando arriva la diagnosi – che secondo le stime manca nel 40% dei casi – la famiglia sprofonda nello sconforto. «Il supporto medico è ovviamente necessario, ma lo sono anche quelli psicologico e legale per i parenti. Che invece si trovano da soli, anche se noi associazioni diamo un aiuto» continua Possenti della Federazione Alzheimer, la maggiore organizzazione nazionale non profit dedicata al tema e formata in prevalenza da familiari di persone con demenza. Perché la ricerca della «pillola magica per la cura è importante – sottolinea – ma lo è di più il sostegno concreto sull’oggi. In Italia dal 2015 esiste un Piano demenze ben fatto, ma come la nostra Costituzione – sottolinea – l’importante è che sia applicato. E qui si cade, perché non prevede finanziamenti, che invece servono, e deve essere implementato a livello regionale».
L’organizzazione
A coordinare il gruppo di lavoro che ha stilato il Piano è stata Teresa Di Fiandra, dirigente psicologa del ministero della Salute, che da anni ha la responsabilità di seguire le demenze per l’Italia anche in sede europea e di Oms: «Eravamo fra gli ultimi Paesi a non averlo ma ora anche all’estero è considerato un modello per la rete che mettiamo a disposizione tra Cdcd (Centri deputati alla valutazione, diagnosi e trattamento), centri diurni e nuclei demenze nelle rsa, tanto che ci hanno chiesto di essere fra i Paesi pilota per la costruzione degli indicatori dell’Osservatorio sulle demenze dell’Oms». Però non ha fondi specifici. «Non sono previsti, e all’estero lascia sorpresi. Come squadra tecnica in una nota al ministero avevamo sottolineato che sarebbe stato utile uno stanziamento ad hoc. L’altro punto critico è la variabilità fra le Regioni». Nonostante la legislatura stia finendo – ma il Piano è del 2015 – arriveranno finanziamenti specifici? E, nel caso, quando e di quanto? Impossibile, in 10 giorni, avere una risposta a questa domanda dal ministero della Salute.
A cosa servirebbero i finanziamenti? «A coprire gli aspetti legati all’assistenza, come l’organizzazione dei servizi e la gestione del paziente – chiarisce il professor Cappa -. Oggi esiste un assegno di accompagnamento, la pensione di invalidità di 500 euro, ma servirebbe molto di più, basta pensare ai costi del ricovero in una struttura». Che, anche quando in parte coperti dalla Regione, gravano pesantemente sul bilancio delle famiglie.
Le strutture
In Italia, con enormi differenze fra regione e regione – si veda la mappa dell’Iss a fianco -, per chi soffre di una demenza esistono 577 Cdcd, 553 centri diurni e 729 strutture residenziali (pubbliche, convenzionate o a contratto). Le rette sono diverse, ma se si ipotizzano, con l’aiuto della Regione, anche solo 50 euro al giorno, si arriva a 1.500 al mese.
Ci sono poi i progetti di villaggi Alzheimer, spazi recintati con case per gli ospiti e possibilità di interazione con la comunità. Quello di Monza inaugurerà il 24 febbraio, «anche se – spiegano – per l’ingresso delle 64 persone passeranno ancora un paio di mesi». Quello di Cardano al Campo (Varese) invece non si farà per mancanza di accordo fra imprenditore e Comune e la Fondazione Il Melo sta provando a farlo risorgere in un altro paese del Varesotto.
La ricerca
Recentemente ha destato clamore la notizia della rinuncia della Pfizer alla ricerca di un farmaco per la cura della malattia, ma il direttore dell’Aifa Melazzini è ottimista: «È solo una scelta aziendale – minimizza -. In tutto il mondo sono 79 le case farmaceutiche che investono nelle demenze. Una se ne è andata? Negli ultimi anni se ne sono aggiunte 5. Ci sono 190 sperimentazioni cliniche aperte, di cui molte decine in fase 3. Il che significa – conclude – che molte molecole per la cura dell’Alzheimer potrebbero essere lanciate nei prossimi 5 anni».
I test falliti sono già 400, calcola uno studio della rivista Jama, ma le aziende in campo si mostrano fiduciose anche perché, in caso di successo, accederebbero a un mercato enorme e in espansione. «La ricerca di Novartis – spiegano dalla multinazionale svizzera – parte dall’evidenza che il fallimento di molti trattamenti sperimentali è dovuto al loro uso in fase tardiva, quando la malattia è conclamata. Abbiamo quindi deciso di concentrarci non sui pazienti ma su soggetti sani ad elevato rischio di sviluppo della patologia». Biogen ha invece in sviluppo alcune molecole, fra cui aducanumab, che è in fase 3 e per cui spenderà «2,5 miliardi di dollari». Qualora arrivasse sul mercato un farmaco per la cura delle demenze – che oggi non c’è – esiste il rischio che i costi siano proibitivi? «Sì – sottolinea Pierluigi Gambetti, neuropatologo e professore alla Case Western Reserve University di Cleveland – ma in un’epoca di globalizzazione i Paesi con sistemi sanitari funzionanti potrebbero unirsi per trattare il prezzo».
«In questo campo la ricerca no profit è fondamentale» sottolinea il professor Cappa. Il pubblico, in Italia, cosa fa? «Il Piano demenze – continua – non è finanziato, ma lo sono progetti come Interceptor», che, con 4 milioni di euro stanziati, coinvolgerà 400 pazienti con lievi deficit cognitivi: saranno valutati 7 marcatori per stabilire quali siano i più sensibili per predire la conversione verso l’Alzheimer ed essere pronti, qualora fosse disponibile un farmaco, ad identificare la porzione di popolazione che potrebbe trarne giovamento, garantendo anche la sostenibilità del sistema.
«Oggi – prosegue il neurologo – è importante anticipare i tempi della diagnosi e lavorare sulla prevenzione: è provato che uno stile di vita sano protegge dal rischio. Prevenzione, ricerca, superamento dello stigma, tutto questo è previsto dal Piano, che però deve essere applicato e finanziato».
Lo stigma
Vivere con una persona affetta da Alzheimer è difficile, i familiari lo sanno (oltre 4800 le chiamate al numero Pronto Alzheimer della Federazione solo nel 2017) e spesso ne pagano le conseguenze dal punto di vista psicofisico: si ammalano a loro volta o sono costretti a lasciare il lavoro. «Molti non vogliono uscire di casa perché sanno che il loro caro potrebbe avere un comportamento atipico e temono la reazione della gente – spiega Possenti -. Lo stigma nei confronti di questa malattia è ancora molto forte. Poco tempo fa una donna, perché sono loro nella stragrande maggioranza dei casi a prendersi cura di chi ha una demenza, era in giro con un proprio familiare che ha iniziato a urlare in mezzo alla piazza. Nessuno si è avvicinato, nessuno le ha chiesto se avesse bisogno di aiuto. Si è sentita estremamente sola».
Senza contare quando «una persona con demenza si perde, che è davvero grave. A questo servono le Comunità amiche dell’Alzheimer, a coinvolgere nel modo più ampio possibile la società. Bisognerebbe parlare di più di questa malattia, a partire dalle scuole – conclude -. Bisogna capire che ci coinvolge tutti. E che è una vera emergenza».