La Stampa, 29 gennaio 2018
Effetto banderuola sulle elezioni senza un partito tre italiani su 10
Diminuisce il distacco degli italiani dalla politica ma non aumenta l’identificazione verso i partiti. Piuttosto, cresce una vicinanza disincantata e, soprattutto, un atteggiamento negoziale verso l’offerta politica. Ciò si spiega osservando lo svolgersi di una campagna elettorale questa volta più che mai attraversata dall’incertezza. C’è una politica delle incertezze e un’incertezza verso la politica. La prima è determinata da un insieme di fattori. La nuova legge elettorale, sulla scorta delle previsioni di voto, sembra consegnerà al Paese una tripolarità che richiederà, per formare un governo, almeno che due poli si accordino. Una situazione oggi deplorata nelle dichiarazioni ufficiali, ma che dietro le quinte vede i diversi attori cercare abboccamenti. Che dire poi dei proclami elettorali? Proprio per cercare di attrarre un elettorato disaffezionato, s’è generato un vero e proprio «mercato delle promesse». Dunque, ci ritroviamo di fronte a una politica che si mostra indeterminata nelle sue visioni: la politica delle incertezze.
Questa situazione è il riverbero di un’altra dimensione che spaventa le forze pin campo: l’incertezza verso la politica, che trova alimento nella possibilità che un novero cospicuo di elettori non si rechi alle urne, in particolare fra i giovani. Nell’ultima tornata elettorale nazionale (2013) si è toccato il picco più elevato delle astensioni: un elettore su quattro (25,1%). Non a caso il presidente Sergio Mattarella, nel discorso di fine d’anno, ha rivolto un accorato appello alle giovani generazioni affinché partecipino.
Il confronto con il 2015
La ricerca di Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per «La Stampa», più che sondare le intenzioni di voto ha esplorato gli orientamenti nei confronti della politica e dei partiti. Il dibattito politico fa emergere una maggiore attenzione ai temi elettorali e un crescente sentimento di vicinanza alle formazioni politiche. Ma sempre tenendo una certa distanza.
Il confronto con una precedente rilevazione, svolta all’epoca delle ultime elezioni regionali (2015), mette in luce come non aumenti il livello di identificazione con un partito (16%, era il 17,7%) e cresca un generico interessamento verso un partito (31%, era il 18%). Soprattutto è un sentimento negoziale ad aumentare in misura più cospicua: il 30,7% degli italiani dichiara di non avere un partito o movimento in cui si identifica, ma di valutare l’offerta di volta in volta (era l’11,7% nel 2015). Quindi, diminuisce l’atteggiamento di distacco dai partiti (dal 52,7% del 2015 al 22,3% odierno) per effetto dell’aumentata discussione pubblica, ma, più che alimentare un’adesione convinta, genera il riaffiorare di un sentimento di prossimità-a-distanza e fa lievitare l’atteggiamento negoziale.
È il segno emblematico dell’affievolimento delle appartenenze tradizionali, cui ancora nessuna cultura politica si è sostituita. Infatti, se analizziamo questo risultato con la dichiarazione di collocazione nei tradizionali schieramenti politici degli interpellati, possiamo evidenziare dove siano le aree di elettorato più critiche per l’arena politica. Se l’elettore di centro-sinistra è fra quelli più identificati con un partito (ma solo il 20,8%) o si sente vicino ad esso (39,4%), sono gli elettori cosiddetti moderati (di centro: 61,2%) a esprimere un atteggiamento di gran lunga negoziale. D’altro canto, chi non ritiene di collocarsi in alcuna delle famiglie politiche, manifesta un forte distacco dalla politica (43,8%). Quindi, moderati e quanti non si riconoscono nelle tradizionali culture politiche costituiscono per i partiti i bacini elettorali cui attingere.
Né destra né sinistra
Il profilo di chi non vuole o riesce a collocarsi lungo il continuum destra-sinistra è sufficientemente chiaro. Detto che si tratta di circa il 26% degli italiani, in questo gruppo troviamo più facilmente la componente femminile (28,6%), i più giovani (31,8%, fino a 24 anni), chi ha un basso titolo di studio (29,8%), le casalinghe (46,6%) e chi risiede nel Mezzogiorno (31,5%).
Ma, ad oggi, quanti pensano di andare a votare? Il 70,1% dichiara che si recherà alle urne, mentre il restante 29,1% mostra perplessità. È una quota non dissimile dall’astensionismo registrato nel 2013, se non in leggero aumento. Ad essere più indecisi risultano più che i giovani, le fasce di popolazione in condizione attiva sul mercato (35-64 anni), chi ha un basso titolo di studi e vive nel Centro Italia. In particolare, l’incertezza riguarda chi ha un atteggiamento negoziale verso la politica, gli elettori di orientamento moderato e chi non si colloca nello schieramento politico.
Il motivo prevalente (e crescente nel tempo) per cui non pensano di recarsi a votare è perché lo ritengono un atto inutile: tanto le cose non cambiano (48,7%, 27,5% nel 2015). Da un lato, le tradizionali appartenenze politiche si sono sfarinate e l’elettore guarda prevalentemente all’offerta politica con occhi attenti, ma disincantati e negoziali. Dall’altro lato, l’incertezza dello scenario politico (che dura da un quarto di secolo!) e il senso di inutilità del voto pervade quote importanti dei cittadini. È l’immagine di un Paese dove la fase di destrutturazione e la precarietà costituiscono ormai la normalità. E i tentativi di riforma non sembrano trovare mai compimento. Anzi, quanto costruito viene demolito da chi viene dopo. Ma solo una progettualità costruttiva potrà rigenerare il capitale sociale fondamentale per il futuro: la fiducia.