Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 2018
Il piano «super bond» per fare avanzare l’Europa
L’Europa è ripartita. La ripresa economica è robusta. Da un decennio non si registrava una crescita così elevata.
Non è tuttavia il momento di abbassare la guardia. La moneta unica è stata un successo, ma ci sono lacune nel quadro di riferimento. L’unione monetaria resta incompleta.
L’Europa non ha ancora un vero mercato unico per i servizi bancari e ciò la rende vulnerabile agli shock economici. Quando si verificano, questi inducono un fenomeno di frammentazione dei mercati finanziari lungo i confini nazionali. Gli shock sono quindi amplificati dalle fragilità preesistenti a livello locale, anziché essere mitigati da un mercato unico ben funzionante in cui gli investitori condividono i rischi.
Una delle cause è che le banche tendono a detenere un eccessivo ammontare di obbligazioni sovrane emesse dai rispettivi Stati.
Philip R. Lane è presidente dell’High-level Task force on safe assets del Cers e Governatore della Banca centrale d’Irlanda
Questa preferenza per l’investimento in titoli nazionali vincola la stabilità delle banche alle sorti degli Stati e viceversa.
Più di cinque anni fa i governi si sono impegnati a tagliare questo nodo gordiano, responsabile dell’aggravarsi della crisi finanziaria da cui l’Europa sta ancora riemergendo. Ma i progressi sono stati limitati. Servono idee nuove per far avanzare l’Europa.
Nell’ultimo anno e mezzo ho presieduto una task force del Comitato europeo per il rischio sistemico. Abbiamo studiato una soluzione promettente per tagliare questo nodo, creando una nuova tipologia di attività finanziarie: i titoli garantiti da obbligazioni sovrane (sovereign bond-backed securities, Sbbs). Questi sarebbero ottenuti assemblando portafogli di obbligazioni sovrane (di paesi che possono emettere titoli di debito collocabili presso investitori privati) in strumenti con diversi livelli di rischio.
Questi titoli beneficerebbero della diversificazione tra paesi. Inoltre il segmento senior sarebbe protetto dai titoli junior, i primi a essere utilizzati per assorbire eventuali perdite. I titoli più rischiosi sarebbero detenuti da investitori non bancari in cerca di rendimenti più elevati e in grado di sopportare il rischio aggiuntivo. Questo risultato sarebbe conseguito attraverso il semplice disegno di una struttura contrattuale, non con un’alchimia.
Un punto importante è che la creazione di questi titoli non comporterebbe per gli Stati la condivisione dei rischi di bilancio. Spetterebbe ancora a ciascun paese onorare il servizio del proprio debito pubblico. Questi titoli agevolerebbero piuttosto la condivisione dei rischi su base privata e volontaria, a beneficio dell’efficienza dei mercati finanziari e della loro capacità di sostenere la crescita economica.
Per capire come funziona, immaginate di essere i proprietari di un’enoteca che si vuole rifornire dei migliori vini giovani. L’approccio localistico sarebbe di rivolgervi al vigneto più vicino, ma le condizioni meteorologiche locali possono essere non sempre ottimali. Otterreste un risultato migliore chiedendo ai viticoltori di diverse aree di associarsi per procurarvi i loro vini migliori. In alcune annate le migliori uve saranno prodotte nella Valle della Loira, in altre i grappoli più succosi cresceranno nella regione del Reno. I vostri clienti saranno ben serviti, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche locali.
Le banche sono come la vostra enoteca: al momento si riforniscono sul posto, ma servirebbero meglio la loro clientela con i nuovi titoli, che le metterebbero al riparo da acquisti deludenti sul mercato locale. Al tempo stesso gli Stati, come i viticoltori, preserverebbero la propria indipendenza e tutte le responsabilità connesse.
La task force pubblica oggi il suo studio di fattibilità. Questo rapporto di 300 pagine, suddiviso in due volumi, presenta un’ampia e accurata analisi ? all’attenzione dei governi e degli analisti di mercato ? e offre il fondamento tecnico per lo sviluppo di un dibattito pubblico informato.
La conclusione principale è che questi titoli ancora non esistono perché la regolamentazione vigente applicherebbe ad essi un trattamento penalizzante rispetto ai titoli del debito pubblico. Per avviare lo sviluppo di questo mercato, le autorità di regolamentazione devono riconoscere che i titoli senior sarebbero sicuri almeno quanto i titoli del debito pubblico a basso rischio, e quindi dovrebbero prevedere per essi un trattamento consequenziale. Al tempo stesso, la regolamentazione dei titoli junior dovrebbe rifletterne la maggiore rischiosità. Date queste premesse, la Commissione europea sta lavorando a una proposta per rimuovere le barriere esistenti sul piano regolamentare.
In una prospettiva di medio termine, è chiaro che la domanda di titoli senior risulterebbe rafforzata da riforme più ampie, capaci di incoraggiare le banche ad adeguare i propri portafogli di titoli del debito pubblico. Tuttavia, vi sono ancora opinioni divergenti circa il fatto che tali riforme siano anche necessarie per assicurare il successo degli Sbbs.
Una volta apportati i necessari aggiustamenti alla regolamentazione, la domanda degli investitori potrebbe determinare il graduale sviluppo di un mercato liquido e di adeguato spessore. Il titolo senior potrebbe diventare l’attività finanziaria di riferimento a basso rischio, che al momento manca per l’insieme all’area dell’euro.
Le banche potrebbero quindi diventare più sicure e i mercati dei capitali più efficienti. Questo avrebbe effetti benefici sulla crescita nel lungo periodo, senza però indebolire la disciplina di mercato o muovere nella direzione della condivisione del rischio sovrano.
Con questi titoli l’Europa segnerebbe un pragmatico passo in avanti, che l’aiuterebbe a sfruttare il suo potenziale inutilizzato. L’Europa, del resto, ha fondamentali economici solidi e... grandi vini celebrati nel mondo.