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 2018  gennaio 27 Sabato calendario

Il BTp parte alla sfida del mercato: il tapering Bce pesa 4,8 miliardi al mese

Il debito pubblico italiano (oltre 2.200 miliardi su cui maturano interessi annui per circa 60 miliardi) nel 2018 continuerà a ricevere (come per tutti i Paesi dell’Eurozona, eccezion fatta per la Grecia) un aiutino da parte della Banca centrale europea. Ma sarà meno ricco rispetto al passato di circa 5 miliardi al mese. Vediamo perché.
Il Pspp (Public sector purchase program, il piano di acquisti di bond sovrani, l’elemento più corposo del pacchetto complessivo del quantitative easing attraverso il quale la Bce compra anche obbligazioni private, covered bond e titoli Abs) continuerà infatti almeno fino al prossimo settembre. Anzi, molti analisti si aspettano che venga prolungato fino a dicembre. C’è però una differenza sostanziale rispetto al 2017. I miliardi iniettati saranno molti di meno: anziché 60, scenderanno a 30 al mese. Questo dato però non tiene conto della quota di titoli in mano alla Bce che andranno in scadenza e che l’istituto di Francoforte reinvestirà. Sommando quindi ai 30 miliardi mensili destinati a nuovi titoli circa 15 miliardi che verranno utilizzati per ricoprire le scadenze (ottenuti sulla base di un monte scadenze pari a 146 miliardi a cui aggiungere il reinvestimento delle cedole maturate) vuol dire che, miliardo più miliardo meno, la Bce immetterà qualcosa come 45 miliardi al mese per l’acquisto di asset.
Escludendo la quota di acquisti destinata a bond privati e titoli Abs la fetta relativa ai titoli di Stato dell’Eurozona nell’ipotesi che l’aiuto arrivi fino a dicembre sarà vicina a 310 miliardi, di cui 116 per reinvestimenti.
Nel complesso il sostegno pubblico della Bce sarà inferiore per oltre 300 miliardi rispetto al 2017. Quanto ai BTp italiani i calcoli indicano che la Bce immetterà fino a dicembre 45 miliardi a cui aggiungere un importo che oscilla tra i 14 e i 20 miliardi relativo al riacquisto dei titoli in scadenza. Quindi circa 60 miliardi, ovvero 5 miliardi al mese. Considerando che nel 2017 la Bce ha stanziato solo per il debito italiano 117 miliardi (circa 9,8 miliardi al mese) il conto è fatto: nel 2018 all’Italia mancheranno all’appello (lato Bce) 4,8 miliardi al mese.
A questo punto è lecito chiedersi: chi ce li mette? Il mercato degli investitori privati sarà in grado di coprire il calo di acquisti annunciato da Francoforte? A giudicare dalla forte domanda che c’è stata a gennaio sulla prima emissione a lunga scadenza (BTp a 20) non ci dovrebbero essere problemi: il titolo è stato offerto per un controvalore di 9 miliardi mentre la domanda è arrivata a 30, oltre tre volte. Segnale che la richiesta di BTp da parte dei privati resta ancora sostenuta anche perché in questa fase – complici anche le incertezze legate alle elezioni politiche del 4 marzo – i rendimenti italiani sono i più alti (Grecia esclusa)dell’Eurozona. Ieri il BTp a 10 anni è tornato sopra il 2%, 138 punti base in più del rispettivo titoli tedesco e 60 del Bonos spagnolo di pari durata.
«Il mercato obbligazionario dovrà trovare più domanda per la carta italiana rispetto all’anno scorso – spiega Gianni Piazzoli, head of advisory di Anthilia Capital Partners -. Un target ambizioso, ma a nostro modo di vedere alla portata dei titoli del Tesoro italiano, che possono contare in questa fase su un quadro macroeconomico in significativo miglioramento e, grazie alle vicende politiche, un premio al rischio ancora attraente rispetto ai rendimenti offerti dalla carta “core” europea».
A quanto pare dal mercato dovrebbe arrivare senza patemi quella quota di ossigeno che la Bce ha deciso di ritirare. C’è poi un altro fattore che tranquillizza. È vero che la Bce stanzierà meno soldi a sostegno dei BTp ma è anche vero che nel 2018 il Tesoro ridurrà le emissioni nette. Le stime di uno studio di Bnp Paribas indicano che lo Stato italiano emetterà nuovi titoli per 225 miliardi a fronte dei 181 che andranno in scadenza per un netto positivo di 44 miliardi che in ogni caso rappresenta il 16% in meno rispetto al 2017. Quindi meno titoli emessi vuol dire anche meno titoli da “coprire” dal mercato.
La solidità della domanda privata potrebbe però non bastare ad evitare il rialzo dei rendimenti. Questo perché i tassi stanno salendo in tutto il mondo non per la mancanza di compratori ma in funzione del fisiologico adeguamento dei bond all’aumento delle stime di inflazione. E questo è certamente un tema per chi in questo momento ha in pancia dei bond.
«I rischi per i governativi europei sono evidenti e risiedono in un ciclo economico molto forte che inizia a palesarsi in una ripresa dell’inflazione – spiega Fabrizio Santin, portfolio manager di Pictet asset management -. Il livello ancora molto basso dei rendimenti aumenta il tempo impiegato per recuperare perdite da rialzo dei tassi. Si tenga conto che un aumento di 50 punti base per un BTp con duration a 10 anni equivale a un calo del 5% sul prezzo, ovvero due anni per recuperare la perdita».
.@vitolops