Gazzetta dello Sport, 28 gennaio 2018
Renzi e le liste impossibili per le elezioni
I democratici si sono accapigliati tutto il giorno e quasi tutta la notte per decidere le liste, con le scene che si vedono di solito in questi casi: cronisti esausti in mezzo alla strada che s’accontentano di interviste volanti in cui i politici non dicono in realtà niente, incertezza generale, la direzione convocata e rinviata varie volte (almeno tre), prima alle dieci di mattina, da ultimo alle due di notte...
• Per «liste» si intende quell’elenco di nomi che ci troveremo davanti quando andramo a votare e tra cui dovremo scegliere quelli da mandare in parlamento, vero?
Vero. Anche tecnicamente questa volta la stesura delle liste presenta forse qualche complicazione in più rispetto al passato. Una quota più ristretta di eletti sarà eletta col sistema maggioritario (passa chi ha preso più voti). Un’altra quota, più larga, sarà eletta col sistema proporzionale. Dunque una prima difficoltà tecnica, per tutti, è questa: si deve decidere chi mandare al maggioritario e chi al proporzionale e chi da tutt’e due le parti, e dove. Seconda difficoltà: una volta avevamo da scegliere tra liste lunghissime di nomi, quindi si poteva apparentemente far contenti tutti, col sottinteso che chi era messo troppo in fondo non aveva speranze. Adesso, per la gara proporzionale, bisogna formare liste di quattro nomi appena, alternando un maschio e una femmina. Complicato già così.
• Poi ci sono le difficoltà politiche.
Già. Particolarmente ardue dentro il Partito democratico. Gli scissionisti di LeU (i bersanian-dalemiani guidati da Grasso) avevano divorziato da Renzi proprio per non affrontare la ghigliottina delle liste preparate dal segretario, che chiaramente ne avrebbe lasciati a casa parecchi. Usciti loro, dentro il Pd è comunque rimasto un nucleo di oppositori, capeggiato dal mnistro della Giustizia Orlando e dal governatore della Puglia, Michele Emiliano. Costoro, all’ultimo, hanno preferito disertare la direzione e non votare il pacchetto di nomi proposto da Renzi. Il quale, non diversamente da quanto fanno, sulle altre sponde, Berlusconi, Di Maio e Salvini, ha compilato le liste per disegnare il partito che vuole lui. Se vogliamo, il Partito di Renzi, alla cui formazione tende fin da quando è diventato segretario. L’irritazione di Orlando-Emiliano, che hanno ottenuto pochi nomi dei loro amici, è arrivata al punto che si è nuovamente parlato di una possibile scissione. Staremo a vedere.
• Non è sempre stato così? Le liste non hanno sempre obbedito ai criteri decisi da chi comandava?
Nei partiti d’un tempo era diverso, il celebre manuale Cencelli serviva anche a sistemare faccende come questa. Un tanto a te, un tanto a me, a seconda della forza che ciascuna corrente aveva. Oggi la situazione è cambiata: il Pd dovrà acconciarsi a un governo di coalizione, forse addirittura minoritaria, per il segretario è necessaria la fedeltà assoluta dei suoi: le tentazioni per tradire sono troppe. Guardi che gli altri hanno forse litigato di meno, o forse in modo meno spettacolare, ma hanno affrontato la questione esattamente con gli stessi obiettivi.
• Chi sono stati, alla fine, i prescelti?
Cesare Damiano e Barbara Pollastrini, due sinistri rimasti nel Pd che il segretario aveva dato l’impressione di voler tagliare, sono in lista. Esclusi invece nomi storici come quelli di Ermete Realacci (inutilmente amicissimo di Gentiloni), Luigi Manconi o Giusi Nicolini, celebre sindaco di Lampedusa e pioniera dell’accoglienza dei migranti. Fuori anche Sergio Lo Giudice, storico esponente dell’Arcigay, la cui esclusione ha fatto dire a molti che il Pd di Renzi arretra sui temi dei diritti civili. Lo Giudice, tra molti imbarazzi, ha risposto: «Non la vedo così», senza aggiungere altro. Battute sono state indirizzate alla strana circostanza per cui a Bologna il Pd candiderà Casini, che un tempo era alleato di Berlusconi, e non Lo Giudice, che la candidatura di Casini l’ha difesa.
• Che ha detto il segretario?
«E’ la squadra migliore per vincere le elezioni. Non è tempo di polemiche. La nostra è una proposta seria e la prossima settimana arriva anche il programma con le cose fatte e 100 punti da fare. È fisiologico e umano il ricambio, vedremo se ci saranno rinunce, forse ci sarà qualche spazio di recupero. Ma insomma, dico un grande grazie a chi è in campo. E le elezioni sono tutte da fare». Poi, sulla Boschi, ossessione di tutti e che correrà nel seggio blindatissimo di Bolzano: «La Boschi? Sarà in diversi collegi e diversi territori. Per essere chiari: noi la questione banche l’abbiamo presa di petto e abbiamo salvato correntisti, risparmiatori e posti di lavoro. Prima che su Arezzo riparta la polemica, a Siena abbiamo chiesto a Padoan di candidarsi, di giocarsi questa partita, con un messaggio potentissimo di sfida politica. La Lega cosa ha risposto? Nella mia Toscana ha messo dei prof No euro». I sondaggi segnalano un lieve recupero dei democratici, con i cinquestelle sempre primo partito intorno al 28-29%. Ma come si può dar credito fino in fondo a questi conti? Non basta stabilire le percentuali, bisogna vedere quanti seggi ciascuna forza politica sarà capace di conquistare nel maggioritario. Un calcolo per niente semplice.