Gazzetta dello Sport, 27 gennaio 2018
Un Trump conciliante parla a Davos
In molti si aspettavano un discorso di rottura, com’è nel suo stile. Invece Donald Trump ha sorpreso tutti, ieri a Davos, giornata conclusiva del World Economic Forum. Davanti al gotha della finanza mondiale, è stato a suo modo equilibrato e conciliante senza rinunciare a una massiccia dose di narcisismo. Nei giorni precedenti era stato bastonato dai leader europei, Merkel su tutti, per la sua politica protezionista (i dazi messi per ora su pannelli solari e lavatrici), ed era stato criticato dal presidente della Bce Mario Draghi per la politica monetaria (dichiarazioni per indebolire il dollaro e rafforzare di conseguenza l’euro, con danno per le nostre esportazioni e vantaggi per il commercio estero Usa). Adesso il presidente americano ha deciso di non reagire, di evitare i toni aggressivi. Anzi, in alcuni tratti del suo discorso ha parlato da leader mondiale. L’ultima parola prima dei ringraziamenti è stata «together
», «insieme», uno degli slogan elettorali dell’ormai dimenticata Hillary Clinton,
• Cos’ha detto?
«Sono qui per portare un messaggio semplice: non c’è mai stato un tempo migliore per assumere, costruire, investire e crescere negli Stati Uniti». Con aria da piazzista convinto, ha elencato i successi economici della sua presidenza, dal calo della disoccupazione al drastico taglio fiscale per sostenere la crescita e aumentare la competitività fino «alla più grande riduzione della regolamentazione mai concepita». Poi ha lanciato un messaggio alle altre potenze mondiali: «Venite in America. “America first” non significa America da sola». E poi: «Gli Stati Uniti non tollereranno più pratiche scorrette nel commercio internazionale. Restiamo a favore del libero commercio, ma i trattati devono essere giusti e reciproci».
• Ma non ha appena messo i dazi su pannelli solari e lavatrici?
Trump ha una filosofia nazional-globalista, si potrebbe dire, che cerca di mettere insieme due visioni opposte, quella dei confini e delle identità particolari e quella del mondo interconnesso e senza barriere. Ha messo i dazi alle merci che arrivano negli Stati Uniti, un po’ per proteggere la produzione interna (Whirlpool è sull’orlo del fallimento), ma soprattutto per scoraggiare tutti quegli imprenditori americani che piazzano le loro fabbriche all’estero perché all’estero trovano condizioni più favorevoli alle loro produzioni. Ma soprattutto ha voluto lanciare un segnale di forza. Come a dire: se volete continuare a fare affari con noi dovete trattare secondo le nostre regole. Gli Usa, insomma, sono pronti a fare affari con il resto del mondo, come dimostra la foltissima delegazione governativa che ha accompagnato Trump a Davos, ma alle loro condizioni. Ieri ad esempio Trump ha fatto sapere che «gli Stati Uniti sono pronti a negoziare accordi commerciali bilaterali con tutti i paesi. Questo riguarda anche gli 11 paesi del Tpp che sono molto importanti. Siamo disponibili a negoziare individualmente, o anche a gruppi, se questo rientra nei nostri interessi». Un messaggio conciliante da un lato, e però anche un pochino eversivo: finché esiste l’Unione europea non si potranno stringere accordi separati con Italia, Francia o Germania.
• Che cosa sarebbe il Ttp?
Trans-Pacific Partnership: è l’accordo tra gli undici paesi che si affacciano sul Pacifico, accordo su cui Obama aveva puntato molto e da cui gli Usa sono usciti per volere di Trump. Ma da quando è arrivato alla Casa Bianca, il magnate ha ripudiato di fatto tutte le intese commerciali esistenti, come il Nafta (Usa- Canada-Messico) e questo Ttp. In più vorrebbe sottoscrivere, in funzione anti-Ue, importanti trattati con la Gran Bretagna che dovrebbero/potrebbero banalizzare gli eventuali danni provocati dalla Brexit. Tant’è che l’unico leader del Vecchio Continente che ha incontrato a Davos è stata Theresa May. Quando Trump dice che gli Stati Uniti non tollereranno più «abusi sul commercio», pensa agli enormi surplus della Germania, non solo della Cina. E questo la Merkel lo sa. Infatti giovedì ha fatto in modo di partire da Davos prima che arrivasse il presidente americano. Certo, se decide di isolare l’America dietro il muro del protezionismo, Trump rischia di offrire la leadership planetaria alla Cina, il grande nemico. • E l’Italia come si pone con Trump?
Gentiloni, che ha parlato a Davos mercoledì scorso, ha usato i suoi soliti toni pacati simil-dc, ma è stato molto critico con le barriere doganali di Trump: «Non si possono mettere in discussione le relazioni commerciali che si sono rivelate estremamente utili per la crescita». Per il resto, al momento l’Italia ha già il problema di trovarsi schiacciata in Europa dal nuovo asse Merkel-Macron. E in questa campagna elettorale il tema dei rapporti con Trump è accuratamente evitato da tutti. Eppure, prima o poi, bisognerà farci i conti. • Alla fine Trump esce bene o male da questo vertice di Davos?
Mi sembra ne sia uscito benissimo. Forte degli ottimi numeri economici, ha potuto fare un megaspot al suo primo anno di mandato. La folla di multimilionari ed economisti lo hanno trattato da rockstar. La sua presenza ha catturato l’attenzione del mondo, eclissando gli interventi della cancelliera Merkel e del presidente francese Macron. Si è preso una rivincita: pensi che da imprenditore non era mai stato invitato a Davos perché considerato più un pagliaccio che un uomo d’affari. E non si è risparmiato una frecciata a noi giornalisti: «Da quando sono diventato un politico mi sono accorto quanto siano cattivi e falsi».