La Stampa, 26 gennaio 2018
L’eterna giovinezza non esiste ecco l’orgoglio del tempo che passa
Prima compaiono i punti interrogativi, tanti, dietro secoli di tentativi di immortalare la vecchiaia. Poi le facce coperte di Klimt che disegna corpi anziani e il volto quasi spaventato della madre di Lucian Freud e il ritratto di famiglia di Picasso, molto meno angosciato.
Dentro la provocante e intrigante mostra «Aging Pride», al Belvedere di Vienna fino al 4 marzo, c’è chi si spaventa di essere ancora al mondo e chi si commuove per un’altra parte della vita, come se orientarsi dentro un’età ancora tutta da esplorare fosse una sorpresa. E lo è, l’esposizione è pensata proprio per indagare, capire che succede quando inderogabilmente si deve smettere di fingere di essere giovani e trovare alternative. Aggiustare, modificare la traiettoria senza perdere la rotta.
Non siamo pronti e gli ultimi trituranti decenni non ci hanno proprio aiutato, così la curatrice Sabine Fellner è brutale: «Alla nostra società serve un allenamento per imparare a gestire questa parte di noi». E la mostra fa proprio questo, propone una serie di esercizi per la mente. Tappezza sale di donne e uomini nudi che non vorremmo vedere. Baccanali fuori limite e satiri bavosi che credono di poter interessare giovani con le trecce, quadri pure disturbanti come quelli firmati da Heidi Harsieber che mette titoli ironici su scene sgradevoli. Si fanno notare pure signore che combattono la decadenza con stile, sia nella foga degli esercizi di Margot Pilz in «Anti Aging», sia nei tratti saggi di Christine Lee fotografati da Joyce Tennisson.
C’è tutto tranne il senso, perché chi osa ha esagerato, chi aspetta ha ceduto e chi usa il sarcasmo oltrepassa il ridicolo. Non ci sono le istruzioni per l’uso: sballottati tra scene osé tardive, donne da imitare e altre da cui scappare, signori che hanno cambiato sguardo e costruito un altro fascino ed effetti del viagra scolpiti nella plastica. La vecchiaia aggredisce, ognuno pensa che non cambi nulla fino a che cambia tutto e qualcuno si aggrappa a dettagli futili per fermare gli anni, altri si spaventano, si intristiscono o addirittura arrendono. I più coraggiosi semplicemente cambiano. E accettano la sfida della trasformazione.
A Vienna ci sono tutti i modelli, esempi deleteri ed esaltanti e femministe che sfoderano performance contro chi le giudica come Martha Wilson, con il sorriso perfetto insieme a quello ingiallito, o Ewa Portum divisa a metà. Da un lato l’adolescente, dall’altro una persona rugosa e ingrigita, ma è sempre lei come dice il titolo dell’opera: «Il mio problema è il problema di una donna». La questione di genere però non risolve. Anche gli uomini non sanno come diventare vecchi.
Annie Leibovitz propone una Vivienne Westwood sfacciata, fiera delle sue forme. George Grosz sfoggia una Lady Hamilton che non vuole abbandonare la malizia e di fronte c’è una posa furba di Louise Bourgeois che ha trovato un altro sistema per esorcizzare l’ansia da rottamazione. In uno scatto balla divertita, nell’altro beve da una lattina e strizza gli occhi come i bambini. Solo che lei è dal lato opposto dell’esistenza e non se la prende.
Chiunque sia vecchio ha vissuto ed è un bene che si può sempre usare, un’utile miscela di ricordi ed esperienza. Il problema non è come restare giovani, è imparare a non esserlo più.