La Stampa, 26 gennaio 2018
Richard Strauss a Torino 112 anni dopo
Trenta istituzioni coinvolte per 3 settimane di festival dedicato a un protagonista, grande e controverso della storia musicale europea, Richard Strauss. Ancora una volta, dopo il successo delle rassegne dedicate ad Alfredo Casella nel 2016 e Antonio Vivaldi lo scorso anno, la città musicale, coinvolgendo altre associazioni culturali, riesce a fare sistema. «È un modo di lavorare che qui viene più facile che in altre realtà italiane. Nella mia esperienza a Milano non ci sono riuscito, tutti temevano di venire cannibalizzati dalla Scala», dice Gastón Fournier-Facio, da tre anni direttore artistico del Teatro Regio e ideatore di queste rassegne, che rompono le programmazioni consuete e sembrano moltiplicare energie e entusiasmi degli addetti ai lavori, offrendo al pubblico traiettorie originali.
«Il punto di riferimento iniziale sono stati per me i cicli tematici che Claudio Abbado organizzava a Vienna e a Berlino, con la sua formidabile capacità di considerare la musica anche in rapporto alle altre arti».
Torino, città straussiana. Qui il compositore dirige la prima italiana di Salome e per la prima volta sale sul podio in un paese non di lingua tedesca. Ma il festival ha sguardi più ambiziosi, indaga il rapporto tra il compositore e l’Italia.
«Il “viaggio in Italia” è un elemento importante per la formazione di Strauss. L’amore per l’antiquariato e l’arte italiana, in particolare per la commedia dell’arte e le maschere, sembra superare quello per la musica: i giudizi non sono così teneri verso i compositori suoi contemporanei. Ama più la musica popolare, che ispira il suo poema sinfonico Aus Italien, dall’Italia, e gli provocherà anche una causa, persa, con Luigi Denza, autore di Funiculì funiculà, che lo accusò di plagio. Nella mostra curata da Giangiorgio Satragni verranno esposti 150 immagini e documenti che raccontano il lungo rapporto di Strauss con il nostro paese. Molti presentati per la prima volta».
Il 22 dicembre 1906 La Stampa, in prima pagina, dava notizia in un trafiletto della creazione di un Comitato celebrativo per il primo centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi e, con molto più rilievo, dell’atteso debutto in prima italiana della Salome. Così scriveva: «Intorno all’immoralità di Salome si è fatto un po’ di chiasso: ed anche ultimamente a Berlino il partito puritano e ortodosso ha elevato delle obiezioni».
Salome sarà data al Regio, per la direzione di Gianandrea Noseda e la regia di Robert Carsen, un po’ azzoppata a causa degli accertamenti della magistratura dopo il crollo di una parte della scena di Turandot. Verranno proiettati film ispirati al capolavoro che Strauss trae dal testo di Oscar Wilde, tra cui quello realizzato da Carmelo Bene. Lo Strauss scandaloso di Salome ed Elettra sembra poi pacificarsi.
«La mia preferenza va a quei furori, alla sua capacità di farsi affascinare ed esprimere nella musica e nel canto personalità così sconvolgenti. Il festival offrirà la possibilità di seguire un lungo percorso creativo, anche proponendo le musiche di autori come Couperin e Lully che hanno ispirato Strauss per le opere che occhieggiano, con nostalgia e disincanto, al tempo perduto del barocco. L’offerta è ricchissima. Invito tutti a leggere con attenzione il programma».
Strauss è stato fino all’ultimo un fedele figlio della Germania nazista. Era riconosciuto come il massimo artista tedesco vivente, mentre tanti altri, perché ebrei od oppositori come Thomas Mann, dovettero fuggire, per non morire. Imbarazzi?
«La sua adesione al nazismo è innegabile, aveva contatti al massimo livello. I rapporti tra gli artisti e le dittature sono un tema tragico del Novecento europeo. Nello stesso tempo Strauss ha difeso ad oltranza Stefan Zweig, lo scrittore ebreo i cui libri erano proibiti ma che lui aveva scelto come librettista per l’opera La donna silenziosa». Già individuato il tema del festival 2019?
«L’espressionismo. Per ricordare le tensioni che l’arte europea, la musica, la pittura, il cinema, la letteratura, ha attraversato tra le due guerre, raggiungendo esiti magnifici. Questi nostri Festival cercano sempre di essere multidisciplinari, il prossimo anno coinvolgeremo anche la Galleria d’Are Moderna e il Teatro Stabile».
Le tensioni dell’Espressionismo appaiono oggi piuttosto smarrite. Sembra prevalere tra gli artisti un simpatico conformismo, nel prevalere del mercato.
«Ricordare quel tempo europeo servirà forse a riaccendere delle scintille». Si discute molto di Torino città in declino, ancora senza una strategia per gli anni che verranno. Lei ha importanti esperienze internazionali di lavoro. Condivide queste preoccupazioni?
«Per quanto riguarda il nostro settore, e mi riferisco all’insieme delle attività di spettacolo, si sta procedendo
con grande responsabilità, dimostrando quali risultati si possano raggiungere lavorando insieme ad un unico progetto, e senza chiedere un euro in più al Comune, che partecipa attivamente alla rassegna. Si è quasi creata una mistica della Torino culturale».