Libero, 25 gennaio 2018
Ciriaco De Mita sta male a 90 anni. Ma rifiuta di farsi ricoverare
Ieri Ciriaco De Mita ha passeggiato sotto il sole meridiano del corso principale di Avellino, fresco e petaloso come il simbolo del partito cui ha aderito (una peonia), indomito e pugnace. Il giorno prima lo davano per morto. Era stato male nella sua villa di Nusco. Male? «Una sciocchezza, non esageriamo», ha detto ai parenti che lo caricavano affettuosi e terrei sull’ambulanza. La preoccupazione era comprensibile: il grande avversario democristiano di Bettino Craxi ai tempi della prima repubblica, compie 90 anni il 2 febbraio. All’ospedale Moscati di Avellino, ai medici che gli si stringevano intorno, mentre fuori la folla si assiepava in attesa di notizie, ha detto: «Ricoverate loro, non vedete come si sono spaventati?». Diagnosi: un abbassamento improvviso di pressione, che per un vegliardo non è una proprio una fesseria. I sanitari gli hanno perciò prescritto severi controlli, una settimana di letto nella bianca cameretta, e flebo. Ditelo a un altro.
Dopo dodici ore e numerose partite a tressette, non ne poteva più delle lenzuola del nosocomio, e da politico consumato e alieno dal pietismo altrui si è fatto vedere nel centro del capoluogo irpino, sorridente, alto e diritto come un fuso (De Mita è più di un metro e ottanta), pronto per il prossimo comizio. Bentornato.
NOSTALGIA
A noi, qui, non importa un fico secco si sia schierato con la Lorenzin. Ci piace che esista e lotti. Non si è rinchiuso nel sepolcro della nostalgia per aver perduto la corona di premier e pure di deputato. Semmai la nostalgia viene a me. Per lui la politica non è stata una corsa verso l’alto, dopo di che ci si ritira e si va in pensione: ma è tutto. Non si sovrappone all’amicizia, alla famiglia, al gioco delle carte, al gusto delle barzellette: ma è il sapore di tutte queste cose, è un disegno sull’universo, e se non si riesce a trattare con Trump e Putin, va bene anche regolare i conti con gli avversari della zona dei Monti Lattari. Il suo ultimo comizio, prima di questo banale infortunio, è stato il 14 gennaio scorso, al Super-cinema di Castellammare di Stabia. Li sì radunava il locale gruppo di «“L’Italia è Popolare”, che è una componente minore di “Civica Popolare”» (scrive il notiziario irpino “Il Ciriaco”). Insomma, si sta battendo per un rametto locale del cespuglietto di Beatrice Lorenzin, che con tutto il rispetto non è Golda Meir. Ci piace l’idea che esistano uomini di questa tempra, per cui la politica non è una farsa di burattini, ma il gran teatro del mondo dove si recita il dramma dei popoli, un palcoscenico da cui chi lo ama non scende mai, e controlla a 90 anni se il costume di scena sia in ordine, anche se devo recitare una piccola parte in un cinema di provincia. Non esistono piccole o grandi parti, ma piccoli o grandi attori. Lo disse Stanislavskij, ma non vale solo per gli interpreti shakespeariani.
IN TV CONTRO RENZI
L’ultima volta che l’abbiamo visto e peraltro ammirato in televisione è stato poco prima del referendum del 4 dicembre: l’Irpino sfidava Renzi. Ciriaco era per il no, e con la sua eloquenza che sa incantare con qualche diamante di intelligenza anche chi ne viene stordito, le ha suonate a Matteo, salvo poi allearsi di nuovo con lui. In realtà, lo ha fatto malvolentieri.
Proprio il 14 gennaio scorso, a Castellammare, ha esibito questa sua eterna scienza democristiana: «Per le elezioni politiche abbiamo pensato ad una partita di calcio a tre squadre. Abbiamo tre grossi gruppi ma chiunque arriva primo perde perché gli altri due fanno la somma. Aver accettato il tripolarismo è difficile. Io ero dell’opinione che avremmo dovuto organizzare la competizione a due con un grande fronte democratico e di conservazione della democrazia e contrapporci a chi non dà risposte e non ha pensiero». Insomma, traducendo e sciupando, osiamo la sintesi: qui non vince nessuno, era meglio presentarsi agli elettori con un fronte tipo larghe intese contro i Cinque Stelle e la Lega, o forse la Lega no, chissà. È De Mita, ragazzi, mica Berlusconi.
CAREZZE A SILVIO
A proposito. Il 17 gennaio del 2009, scrisse Libero, a pagina 11: «De Mita è stato visto dalle parti di Palazzo Grazioli» (residenza romana del Cavaliere). Lui negò: «Ma che vi siete inventati». De Mita però disse anche, in quei giorni, le prime parole gentili su Silvio: «La politica non sono le intenzioni, ma quello che uno fa nel concreto. E questo è ora Berlusconi».
Ma fini male, perché Forza Italia «non è un partito, è una nebulosa, persone che vagano». Ripeté la stessa altalena nel 2014, per le regionali in Campania. Finì per sostenere De Luca, e lo fece vincere di un pelo. Casini, De Luca, Lorenzin... Possiamo dire un bel: chissenefrega? Ma sì.
Uno che è stato sette anni segretario della Dc, l’unico a sommare il doppio incarico di segretario scudocrociato e premier durante la prima Repubblica, scegliendo Cossiga come presidente della Repubblica, sfidando Andreotti e Craxi, non si può giudicare da questi particolari. Semmai da quest’altra testimonianza di vita.
Aveva aderito al Partito Democratico sin dalla sua fondazione. Non è che gli andasse l’idea di fare il cameriere di Walter Veltroni, ma almeno sperava in un pulpito da cui fare il Savonarola, e pensava di rientrare in Parlamento nel 2008, a 80 anni. Veltroni pose il veto: sei vecchio, non ti candidi. Ha risposto: biologicamente e come cervello ho 65 anni, sono un fiore, e comunque «io farò il mio ultimo comizio morendo». A cent’anni.