La Stampa, 26 gennaio 2018
L’Italia a bassa velocità
Una preghiera. «Una preghiera per chi ancora oggi, nel 2018, è morto andando a scuola e al lavoro». «Per noi questo è il giorno del silenzio. Il comitato linea S6 Novara-Milano-Treviglio esprime la propria solidarietà ai familiari delle vittime e ai feriti dell’incidente ferroviario».
Scrivono, lottano, si sostengono. Sono i pendolari: 3 milioni di persone che ogni giorno viaggiano in treno. Avanti e indietro, quando va tutto bene. La loro è l’Italia del binario unico. Dei vagoni scassati. Dei lavori di manutenzione mai fatti. L’Italia delle stazioni chiuse e delle tratte saltate. «Per un guasto al materiale rotabile, si annuncia che…». Secondo l’ultimo studio di Legambiente, le tariffe sono aumentate del 17,8% negli ultimi dieci anni. Ma i treni regionali sono sempre meno. E sempre più vecchi. L’età media dei vagoni che viaggiano in Lombardia è di 17 anni. Forse non è un caso se proprio questi treni ritornano così spesso nelle cronache più tragiche.
L’elenco è lungo. Ed è solo quello degli ultimi vent’anni. 12 gennaio 1997, Piacenza: otto morti e 30 feriti nello scontro causato dalla rottura di un’asse di trasmissione. 23 marzo 1998, Firenze: un morto e 38 feriti per un mancato rispetto del segnale. 4 giugno 2000, Solignano, Parma, 5 morti e un ferito nello scontro fra due treni merci. 20 luglio 2002, Rometta Marea, Messina, 8 morti e 47 feriti per un guasto sul binario. 11 maggio 2004 Libarna, Alessandria, 1 morto e 39 feriti per deragliamento. 7 gennaio 2005, Roccasecca, Frosinone, 2 morti e 70 feriti: errore umano. 15 giugno 2007, Bortigali, Nuoro, tre morti e otto feriti: mancata segnalazione. 29 giugno 2009, Viareggio, 32 morti e 25 feriti: un carro cisterna carico di Gpl esplode dopo il deragliamento. 12 aprile 2010, Laces, Bolzano, 9 morti e 28 feriti: una frana sul treno regionale. 17 gennaio 2014, Andora, cinque feriti: un’altra frana sul Milano-Ventimiglia. 12 luglio 2016, Andria, 23 morti e 57 feriti: due treni dei pendolari si scontrano sul binario unico per un errore umano. Così. Fino a ieri. Fino all’incidente di Pioltello.
Ma poi, come vanno a finire le inchieste giudiziarie? Prendiamo il caso di Rometta Marea, forse il più simile per dinamica. Da settimane i macchinisti segnalavano degli sbandamenti anomali in prossimità del chilometro 210 della ferrovia Palermo-Messina. Proprio in quel tratto erano stati eseguiti dei lavori, anche per il raddoppio della linea. Ma quei lavori, nonostante il collaudo favorevole, erano stati eseguiti male oppure non fatti. Ecco perché la «Freccia della Laguna» alle 18.56 del 20 luglio 2002 scartò di lato schiantandosi contro un treno merci.
Quattro indagati. Le accuse per omicidio colposo e lesioni colpose sono cadute in prescrizione. Le pene condonate. A distanza di quindici anni, restano due condanne definitive a 2 anni di reclusione. I responsabili sono due direttori dei lavori: «Che omettevano di far eseguire i lavori di risanamento della linea ferroviaria e omettevano di verificare la non corretta applicazione del giunto provvisorio cagionando il disastro ferroviario». Quanto alle vittime, ecco l’avvocato di parte civile Daniela Agnello: «Il processo è stato molto lungo e faticoso, le parti offese sono state risarcite solo parzialmente dal Gruppo Generali. Attendiamo ancora un bonario componimento della controversia». Dal giorno del disastro e per 14 anni, i vagoni e la locomotrice deformati dallo schianto sono rimasti sul terreno a fianco dei binari, sotto gli occhi di tutti. Sono stati rimossi soltanto a giugno del 2016. Ma almeno adesso si sa: sono morti per una mancata manutenzione.
«È per questo che lottiamo tutto l’anno, ci riuniamo e proviamo ad incontrare i responsabili delle ferrovie», racconta Matteo Casoni del comitato pendolari della linea Mantova-Cremona-Milano. «Rispetto a quello che è successo, ora tutti gli altri problemi sembrano piccoli. Ma quello che cerchiamo di fare è proprio di segnalare i problemi: il sovraffollamento, il riscaldamento rotto, le porte incastrate, i passaggi a livello che non funzionano. L’altro ieri il treno che doveva uscire dal deposito non si muoveva, hanno dovuto cambiarlo per qualche problema non meglio specificato. Non c’è molta fiducia. Non c’è un senso di sicurezza. In più, nelle prime due settimane del 2018 ho già sommato tre ore di ritardi. Tempo rubato alla vita».
Non c’è quasi mai niente di completamente nuovo nella storia d’Italia. Nella frazione di Limito, proprio davanti a Pioltello, si può leggere una targa che dice così: «Qui raccolte riposano le ossa di numerose vittime dello scontro ferroviario avvenuto nella notte fra il 28 e il 29 novembre 1899 e ricomposte nell’anno 1912». Quella tragedia è stata ricostruita minuziosamente dal ricercatore Maurizio Panconesi in un libro che si intitola, non a caso, «Disastri ferroviari». Quella notte di due secoli fa, il macchinista del Diretto 25 partito dalla stazione di Milano alla volta di Venezia, era stremato. Stava guidando da 38 ore consecutive. Al punto che due ore mezza prima del disastro aveva fatto telegrafare che lui e il suo fochista, da quel momento, non potevano più assumersi alcuna responsabilità: «Causa stanchezza». La nebbia era fitta quando avvenne lo scontro contro un treno merci, che passava con 45 minuti di ritardo. «Su una carrozza di III classe viaggiava anche un folto gruppo di emigranti veneti che faceva ritorno a casa dall’America in occasione del Natale: sono stati proprio loro a dare il maggior contributo di vittime, rimasti imprigionati tra i rottami della propria vettura sotto gli altri vagoni in fiamme».
È sempre stato così. Pendolari ed emigranti, viaggiatori di seconda e di terza classe. Ieri a Pioltello, come 118 anni fa.