la Repubblica, 26 gennaio 2018
Fenomeno Chung, i colpi dell’Asia che vuole contare
ROMA Correva il 2010, l’anno della rivoluzione silenziosa. L’Asia ha cominciato a prendersi, senza che nessuno se ne accorgesse, il tennis. Una marcia lenta, ma inesorabile, ancora in progress.
Nel 2010 la Cina fu promossa dagli analisti seconda potenza economica (superando il Giappone), mentre ad Abu Dhabi – un po’ più vicino al confine europeo – si assegnava il titolo della Formula Uno. Ma questo, in fondo, c’entra poco con il tennis, che registrava un dato sottovalutato all’inizio: un aumento nell’organizzazione dei tornei di tennis, più del Sudamerica. Il grimaldello con il quale i manager del tennis asiatico si sono fatti aprire le porte e spostare la geografia del tennis verso il Sol Levante. ‘ Follow the money’, la filosofia ha pagato. Sono arrivati i campioni, seguiti dai ragazzini.
A Melbourne, anno di grazia 2018, si sono versati fiumi d’inchiostro per raccontare le gesta di Hyeon Chung, 21enne coreano. Negli Anni Trenta si indagava sul perché del suicidio di Jiro Sato, il n. 1 del Giappone, che si buttò da un peschereccio al largo di Singapore. Altri tempi.
L’Asia, nel tennis, è stata una curiosità per anni. Molte colleghe giurano di aver visto Kimiko Date (anche lei giapponese) cucinarsi polpette e riso negli spogliatoi. Si ricordano, con un pizzico di comicità, gli stratagemmi di Yoshida, tecnico nipponico cui la Mongolia aveva chiesto un miracolo sportivo: il primo giorno sul campo si ritrovò con 30 giocatori, 15 palline e 7 racchette. La leggenda vuole che fece arrotolare giornali per farne delle palline, pur di allenare.
Le stravaganze però finiscono quando la Cina decide sul serio di voler essere più forte anche della mancanza di tradizione: il 2011 diventa memorabile, purtroppo per Francesca Schiavone e l’Italia: Li Na, da Wuhan, nega il bis all’azzurra e conquista il Roland Garros. Il cancello è sfondato, l’Asia entra nel regno dei nobili. Seguirà un altro trionfo, proprio a Melbourne ( 2014, sempre di Li Na, ormai diventata star mondiale). Un gruppetto di altre brave giocatrici segue: Peng Shuai, Zheng Jie, Zhang Shuai. Ragazze cinesi dotate di forza fisica ( soprattutto per il gioco di gambe), che mostrano maggiore attitudine dei colleghi maschi, in ritardo nel colmare il gap.
Non c’è solo Cina, naturalmente: Kei Nishikori ha sfiorato lo Slam nel 2014 a New York, sarebbe stata storia, e quella finale persa contro Cilic grida ancora vendetta. E ora la Next Gen, grazie a Chung, ragazzone coreano cui «pochi pensavano sarebbe arrivato così in alto», Bollettieri dixit. Eppure il primo coreano notato dai media è stato Duck Hee Lee, classe ‘98, capace di giocare a livelli pro anche se sordo. Senza farne un handicap: «Quando gioco non mi distraggo». Arriveranno i suoi giorni, questi invece sono i momenti di Chung. Per anni ci si è chiesti quali tennis avesse espresso l’Asia, e il pensiero andava spontaneo a Michelino Chang, che però batteva una bandiera americana. Oggi Naomi Osaka preferisce il Giappone agli Usa. Un altro segno dei tempi: i muri cadono, restano però i tabù. Il movimento per “un quinto Slam totalmente asiatico”, respinto in passato, riprende forza. Si può fermare il futuro?