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 2018  gennaio 26 Venerdì calendario

Rupert Everett: «Wilde è come Cristo. I suoi sacrifici ci hanno resi liberi»

PARK CITY ( UTAH) Barba brizzolata, segni del tempo sul volto, il 58enne Rupert Everett diventa Oscar Wilde per il suo debutto alla regia, The happy Prince. Nel film, prodotto dal suo amico Colin Firth, presente in un piccolo ruolo, Everett torna allo scrittore: due dei suoi film più noti, Un marito ideale e L’importanza di chiamarsi Ernest, sono tratti da commedie dello scrittore. L’autore è ritratto nell’ultimo tragico periodo della sua vita, quando dopo due anni di lavori forzati in prigione per la sua omosessualità si trasferì in Francia dove morì povero a 46 anni nel 1900. Quasi un riferimento alla vita di Everett, che ha più volte detto che il coming out ha danneggiato la sua carriera.
Subito dopo il nostro incontro l’attore inglese è partito per Roma per girare, a Cinecittà e in Umbria, la serie televisiva Il nome della rosa tratta dal romanzo di Umberto Eco, prodotta da Rai e Palomar.
Sarà l’inquisitore Bernardo Gui, interpretato da F. Murray Abraham nel film di Jean-Jacques Annaud con Sean Connery del 1986. «È una cosa fantastica, sono elettrizzato all’idea della serie», ci dice. «Il regista Giacomo Battiato è adorabile e quello dell’inquisitore è un grande ruolo, cattivissimo! Il guaio è che andrò al festival di Berlino con The happy Prince ma questo weekend mi taglieranno via quasi tutti i capelli per il ruolo nel Nome della rosa. Non importa, ho già scelto una parrucca favolosa con capelli lunghissimi!».
Come mai tanto amore per Oscar Wilde?
«È stato un personaggio fortunato per me. A teatro ho fatto varie sue commedie, a Londra, in Francia e in Scozia, e sono andate sempre bene.
Come anche i due film tratti dalle sue opere. Ci vuole abilità con i dialoghi di Wilde, tendono a essere lunghi e vanno recitati in un modo informale, altrimenti possono diventare troppo pesanti, e da attore in parte comico penso che quella sia la mia forza».
Perché si è concentrato sugli ultimi anni della vita di Wilde?
«I film su di lui finiscono sempre con la prigione. Per me la parte più interessante è quando esce, il suo esilio. Mi piace esplorare la vita delle celebrità decadute, ma anche l’idea che pur fuori dalla prigione fosse alla continua ricerca di libertà. Non c’era modo per lui di sfuggire al suo passato e alla sua reputazione».
Nel clima di scandali sessuali la vita di Wilde è un esempio di come si possa passare dalle stelle alle stalle.
«Verissimo. Wilde era amico della famiglia reale, ed è finito praticamente senzatetto. L’ultimo vagabondo del 19esimo secolo. La fama può creare una visione falsata del mondo, e lui stesso, alla vigilia del processo, diceva di essere completamente accecato dal successo. Pensava che le classi operaie lo avrebbero appoggiato, mentre tutti gli hanno sputato addosso. Essendo io cresciuto nel cinema, circondato da gente nota, vedo come alcuni di loro davvero vengano presi da questa forma di follia. La gente che ti dice sempre sì e pensi che il mondo sia il tuo regno, cosa che ovviamente non è. Wilde era stato anche un grande sciocco.
Tutti facciamo enormi sbagli nella vita e lui ne ha fatti di enormi.
E ha pagato un prezzo enorme».
Lei non sembra caduto nella trappola di sentirsi onnipotente.
«Noi attori inglesi forse abbiamo più i piedi per terra perché non abbiamo mai la fama di quelli americani. Per noi è più un lavoro artigianale, con alti e bassi e impariamo ad abbassare la cresta e girare intorno agli ostacoli».
La caduta di Wilde è dolorosa da vedere.
«La sua è stata la prima storia di omosessualità davvero pubblicizzata. Dopo di lui il mondo intero ha iniziato a parlarne. Dopo gli anni 60 e la rivoluzione sessuale diamo per scontato parlare di sesso ma all’epoca era tabù. A Parigi lo buttavano fuori da bar e club. Gli inglesi si sono comportati in modo particolarmente crudele con lui».
Che eredità ci ha lasciato?
«Wilde ci ha lasciato con l’inizio del movimento di liberazione omosessuale e Lgbt. È cominciato tutto con lui. L’omosessualità è diventata un tema dopo la sua morte. Per quello penso che abbia la stessa rilevanza di Cristo. Le libertà per cui abbiamo tanto combattuto sono iniziate con i suoi sacrifici».