la Repubblica, 26 gennaio 2018
Orson Welles e l’eterno ritorno di Citizen Kane
Venti anni esatti sono trascorsi da quando l’illustre American Film Institute incoronò Citizen Kane di Orson Welles ( Quarto potere, nel titolo italiano) con l’alloro di miglior film di sempre. Ed è una medaglia che nessuna successiva classifica ha mai osato contestare. Peccato che ripercorrere la vita di questa straordinaria pellicola equivalga a guardare in faccia rischi e baratri dell’editoria occidentale, della quale non a caso denunciava le piaghe.
Perché aveva pienamente ragione il visconte de Tocqueville a dire che la libera stampa è l’istituzione su cui si fonda lo stato democratico, ma al tempo stesso non si può dar torto a Jack London quando acutamente denunciò che l’informazione stava diventando un business, e che ciò l’avrebbe presto resa un’escrescenza del capitalismo. Il Charles Foster Kane immaginato da Orson Welles è in fondo un lucidissimo paradigma di quella zona d’ombra in cui l’onerosa ( e meritoria) fondazione di un giornale trascolora non tanto in una pur legittima area di lucro, quanto nell’assurda pretesa di forzare i ruoli, con l’armatore che d’un tratto soppianta il capitano e dà le rotte al timoniere. Ed è di questo che racconta il film: di un finanziere vanitoso e accentratore, di una politica già fondata sulla manipolazione delle notizie, di una progressiva consapevolezza del potere immenso esercitato dai media ( curioso che lo stesso tema sia ancora all’ordine del giorno, con Steven Spielberg che gli ha dedicato il suo The Post). In altre parole: il venticinquenne Orson Welles lanciava un grido d’allarme, caustico e dirompente. E gli dèi lo punirono. Solo così si spiega il muro invalicabile che l’opera incontrò, sotto forma di un impressionante boicottaggio: il tycoon William Randolph Hearst – cui la sceneggiatura era in effetti ispirata – proibì alle sue numerose testate ( radio, giornali) anche solo di menzionarne il titolo, oltre a buttare sul tavolo della Rko la cifra siderale di ottocentomila dollari per far dare alle fiamme i negativi. E dire che era lo stesso Hearst che sette anni prima, intervistando a Berlino Hitler, si vantava di avergli risposto a tono sui valori inscalfibili della democrazia e del pluralismo. Esponente del partito democratico ( fu perfino eletto al Congresso), Hearst rimane ai miei occhi uno dei ritratti più lampanti di come possano coesistere nello stesso individuo opposti inconciliabili. Si trattasse di un privato cittadino, sarebbe semplicemente un fatto curioso. Essendo purtroppo egli un magnate dell’informazione, traete voi le conclusioni.