la Repubblica, 26 gennaio 2018
Fondi alla tav, tagli ai locali. L’Italia divisa delle rotaie
Milano I pompieri, dopo l’incidente di ieri, hanno già provato a buttare acqua sul fuoco. «Gli investimenti di Rete Ferroviaria italiana ( Rfi) in manutenzione ordinaria – dicono alle Fs – sono saliti del 70% dal 2012, passando da 982 milioni a 1,7 miliardi». Il Governo – assicura il ministro dei Trasporti Graziano Del Rio – ha fatto la sua parte, ritoccando all’insù del 340% i fondi per la sicurezza su rotaie. Qualcosa però sui treni di casa nostra non torna ancora. E i 23 centimetri d’acciaio saltati ieri sui binari di Pioltello non sono l’unica prova.
«I problemi di manutenzione a veicoli e infrastrutture sono alla base del 26% degli incidenti», certifica l’Agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria (Ansf) nel suo rapporto 2016. Gli 007 dell’authority hanno fatto 63 indagini approfondite sul campo ( di cui 39 su Rfi), hanno completato 7.716 ispezioni e 120 accertamenti mirati su segnalazioni di viaggiatori e sindacati. E il risultato non è del tutto tranquillizzante: «Il 14% delle verifiche sulle infrastrutture e l’ 11% di quelle sui veicoli non sono risultate conformi», scrive l’Ansf. I problemi? «Un’insufficiente definizione delle responsabilità tra i vari soggetti coinvolti nella manutenzione», attività di controllo interno «non sempre efficaci», documentazioni e registrazioni a volte «incomplete e incorrette» e assenza di «un monitoraggio preciso e accurato degli obblighi degli appaltatori». Una pagella non proprio lusinghiera che dimostra come il cammino da fare sul fronte della sicurezza sia ancora lungo.
La stato di salute delle ferrovie tricolori, intendiamoci, è tutt’altro che da codice rosso: gli incidenti mortali nel Belpaese sono statisticamente meno di quelli in Austria, Spagna e Portogallo, sono inferiori del 36% alla media Ue e del 7% rispetto alla Germania. «Il loro numero è in diminuzione» ammette Ansf. E l’aumento degli investimenti per la manutenzione e la sicurezza degli ultimi tre anni «rappresenta un importante cambio di passo», aggiunge Legambiente, storica paladina dei pendolari che non è mai stata troppo tenera con le politiche pubbliche sul settore.
I buchi sulle rotaie però rimangono. Testimonianza, dicono un po’ tutti, dell’eredità del recente passato: il taglio del 22,7% dal 2009 dei trasferimenti dello Stato alle regioni per il trasporto regionale; la scelta (legittima e “pagante” dal punto di vista finanziario, per carità) di dirottare un fiume d’oro – 32 miliardi in undici anni – all’alta velocità; più, ciliegina sulla torta, un parco di locomotive e vagoni che per età sono più adatti a un’onesta pensione in un museo ferroviario che ai viaggi sulle tratte pendolari più trafficate d’Italia.
Ora, assicurano a Roma, le cose stanno cambiando: «Il 90% dei nuovi investimenti previsti nei prossimi anni andrà sulle tratte regionali», dicono le Fs. Il governo ha messo sul piatto 4 miliardi «per rinnovare il 70% della flotta di treni esistente», fa eco Del Rio. La fotografia di oggi resta però ancora un po’ sconfortante: l’età media dei treni italiani a fine 2017 era di 16,8 anni, al sud di 19,2. Il focus sull’alta velocità ha cambiato il volto del settore: l’offerta di posti sui convogli superveloci è cresciuta del 435% in undici anni per la gioia dei risultati finanziari di Trenitalia. I servizi per pendolari sono finiti invece in una sorta di cono d’ombra: il numero di Intercity è sceso del 15,5% dal 2010 con un calo del 40% dei passeggeri mentre quello di regionali è calato del 6,5% malgrado un balzo dei passeggeri e un aumento delle tariffe del 21% in otto anni.
Qualche conseguenza ( specie sul fronte della manutenzione) l’ha avuta pure la cura dimagrante imposta a Rfi: gli organici sono scesi dalle 34.600 persone del 2006 alle 25mila circa attuali. La società – negli anni d’oro dei cantieri dell’alta velocità – investiva in manutenzione straordinaria e nuove opere fino a 6 miliardi l’anno. Poi, una volta decollati i Frecciarossa, ha stretto i cordoni della borsa, scendendo ai 2,7 del 2012, prima di risalire ai 4,1 di oggi. La carenza di personale per i controlli sulle linee e la decisione di affidare il monitoraggio dei 20mila km di binari tricolori e della linea aerea ai sofisticatissimi “treni diagnostici” è un problema, dicono i sindacati. «Ci sono stati cinque deragliamenti in sei mesi nel 2017, tutti gravi, non può essere un caso – accusa Andrea Pelle del sindacato nazionale Orsa –. Le macchine hanno sostituito l’uomo nel 90% dei casi. Ma sono poche. E se sono davvero perfette come mai non si sono accorte dei problemi del giunto a Pioltello?». Opinioni di parte, ovvio. Ma qualche problema forse c’è se Rfi, lodevolmente, ha deciso di assumere 700 manutentori nel 2017 e 750 nel 2018. Degli acciacchi delle ferrovie italiane, del resto, si è accorta anche l’Autorità di sorveglianza europea. Nel 2016 un’ondata di caldo – certifica in un rapporto – ha provocato un boom dei casi di deformazione delle rotaie, raddoppiati a 6.712 a livello continentale. Ben 4.439, guarda un po’, riguardavano la rete di casa nostra. Il secondo paese più colpito – la Spagna, che quanto a temperature torride non scherza – ne ha registrati 300. Spazio per fare meglio, sul fronte della manutenzione, ce n’è ancora molto.