Corriere della Sera, 26 gennaio 2018
Auckland senza stop. Noi, in volo per 16 ore
«Come sta andando lassù?». «Tutto regolare, mamma, esattamente come dieci minuti fa quando ci siamo scritti». Il volo è decollato da un’ora dal mega-hub di Dubai (Emirati Arabi Uniti), il muso del silenzioso Airbus A380 di Emirates punta dritto verso l’Oceano Indiano con destinazione Auckland, Nuova Zelanda, in quello che è il volo più lungo del mondo operato dall’aereo più grande del mondo. Dieci fusi orari di differenza, oltre 14 mila chilometri di tragitto in poco più di sedici ore ad alta quota su questo bolide di due piani che sta trasportando quasi 500 persone tra Prima classe, Business ed Economica. Un paesino, alimentato da 1.500 pasti e dissetato anche da 480 bottiglie di vino e Champagne.
In tutto questo mamma è già entrata in «apnea», aiutata dal fatto che a dieci-dodici chilometri di quota c’è il collegamento internet gratuito. Ne segue una chattata di mezz’ora su WhatsApp. Non so come placarla. Le dico che l’applicazione non funziona bene. Ci congediamo. Accedo a Facebook Messenger. «Ma quindi ora sei connesso?», mi scrive lei che un profilo non ce l’ha, ma sfrutta quello della figlia. Smetto di usare Messenger. Pubblico una foto su Instagram: è l’immagine del velivolo sopra le nuvole ripresa da una delle telecamere esterne. «Che fai lì, importuni la gente?», chiede un docente di un ateneo milanese. Intanto parte la videochiamata di mamma che, stavolta, è con la nipotina. Poi arrivano alcuni iMessage. Senza tregua.
Mi disconnetto dal WiFi e vado in giro per l’aereo. Non senza aver bevuto il succo di pomodoro, mentre Becky, hostess scozzese da sei anni nella compagnia emiratina, tenta di farmi provare (senza successo) uno dei vini presenti. Lei è una dei 26 assistenti di volo in questo A380 che arrivano da 20 Paesi per un totale di 19 lingue parlate. A quasi tutti loro ho rotto le scatole per 21 volte, risparmiando però il doppio equipaggio dei piloti.
Inizio quindi a guardarmi l’enorme sistema di intrattenimento di bordo del colosso dei cieli Emirates, un modo per recuperare dei film. Nell’ordine: «The party» (originale), «Dunkirk» (ottimo), «Tutti gli uomini del presidente» (un classico), «Kingsman – The Golden Circle» (surreale), «Mark Felt – L’uomo che fece cadere la Casa Bianca» (da vedere), «Wind river» (interessante), «Victoria e Abdul» (particolare). Poi ci sono le cartelle (tutto «Alien», tutto «Pianeta delle scimmie», tutto «Pirati dei Caraibi», tutto Marvel) e le hit musicali, come quella del 1953, anno – scrive la scheda informativa – «dell’incoronazione della regina Elisabetta II, del matrimonio tra John F. Kennedy e Jacqueline Bouvier, del primo James Bond di Ian Fleming in “Casino Royale”».
Momento di una pausa tra un film e l’altro. In mezzo all’Oceano Indiano nella lounge di bordo al secondo piano la conversazione va avanti su tre fronti. L’anziano che cerca di sapere tutto della hostess, una coppia cinquantenne che ricorda il viaggio in Europa, due ragazzi che cercano sul telefonino una discoteca ad Auckland. Lo schiamazzo raggiunge qualche picco, una viaggiatrice dai sedili davanti chiede silenzio. E l’assistente di volo-barista deve fare pure l’amministratrice di questo condominio volante.
In Business c’è il relax totale. La maggior parte dorme. Qualcuno guarda un film. Due mangiano, mi sfugge sulla base di quale fuso orario. In Economica c’è più movimento. In un angolino due signore fanno stretching. Più avanti altre due fanno yoga. Mi invitano. Declino. «Non vorrei strapparmi qualche muscolo in mezzo all’oceano», rispondo. Mi guardano con compassione loro che di anni ne hanno il doppio dei miei.
Colpisce l’abbigliamento: alcuni sono vestiti come se stessero andando a un evento ufficiale, altri in pigiama portato da casa. Colpisce anche che il Wi-Fi gratuito non faccia dormire diversi viaggiatori. Come questo ragazzo che ha passato gran parte del volo a chattare con gli amici. «E le mie diverse fidanzatine», ammicca. Di fianco c’è una sua coetanea che dorme. Ho paura a chiedergli chi sia. Al secondo piano il bar ha cambiato clientela. Due anzianotte british si godono i loro Martini e però non disdegnano sguardi interessati ai ragazzi. Uno steward sta preparando un Bloody Mary e mi spiega che ha iniziato «perché voglio girare il mondo». Intanto arriva Herbert, ex ingegnere tedesco di Norimberga. «Sto andando per tre mesi dalla mia compagna neozelandese a svernare», dice. Nei nostri mesi invernali lui scende vicino Wellington, dov’è estate, nei tre mesi estivi sale lei in Europa. «L’anno scorso siamo stati in Sicilia, bellissima!», s’entusiasma.
La Nuova Zelanda si avvicina e tra poco l’aereo scenderà. Io ho da poco finito l’ottava passeggiata in lungo e largo e ho visto per la 39esima volta l’orologio (che però ha il fuso di Dubai) dopo aver smaltito con nove incursioni ai servizi 13 bicchieri di succo d’arancia, 4 di pomodoro, 17 di acqua, uno di Bloody Mary e un altro di Porto.
«Hey che fai?», chiede su WhatsApp un amico da Montreal, Canada, 18 ore indietro di fuso orario. Gli rispondo diverso tempo dopo. La mamma, del resto, è lì che incombe.