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 2018  gennaio 26 Venerdì calendario

«Ricomincio con gambe più deboli Voglio lottare per crescere mia figlia». Intervista a Fabrizio Frizzi

Roma Il 5 febbraio Fabrizio Frizzi compie 60 anni. Pochi mesi fa ha dovuto affrontare una prova difficile.
Questo compleanno è un traguardo?
«Fino al 23 ottobre scorso, giorno in cui sono stato colpito dall’ischemia, pensavo ai miei 60 anni come a un’età ideale, in cui sei maturo, puoi fare le scelte giuste, pur sentendoti ancora fresco e giovanile. Dopo il 23, la visuale è leggermente cambiata: a questa età si entra in un imbuto che restringe l’orizzonte, vedi la vita assottigliarsi, ammesso che la vita continui, si fanno valutazioni importanti sul vivere i rapporti che contano, non disperdi più il tempo, si privilegiano le cose fondamentali. Sì, è un bel traguardo, tuttavia continuo a essere un entusiasta e non rinuncio a sperare di riprendere un’esistenza piena di forza, anche se con le gambe un po’ fiaccate».
Quel giorno, quel malore, i soccorsi durante la registrazione: cosa ha pensato?
«Dalla mia consueta sicurezza, sono precipitato in un abisso, ma per fortuna ero in uno studio tv! Gli autori, sempre molto attenti a monitorare la macchina in ogni particolare, si sono accorti prima di me di quanto mi stava accadendo. Se mi fosse capitato in altro momento non so come sarebbe finita. Ora non sono guarito del tutto, ma l’aver ripreso il lavoro, una vita simil-normale, mi dà una carica di adrenalina che è una terapia aggiunta a quella medica. È come se, a ogni puntata, mi si installasse un motore iper-turbo: fino a un minuto prima della diretta-differita, posso accusare stanchezza, appena entro in azione tutto sparisce. Certo, speravo che il processo di guarigione fosse più veloce, ma capisco che devo rispettare gli ordini dei bravissimi clinici che mi seguono: ogni tanto mi bacchettano per la mia foga di sbrigarmi, ci vuole il tempo necessario».
La malattia può essere dovuta allo stress fisico di un mestiere adrenalinico?
«Lo escludo. Fino a poco tempo fa ho pistato anche per 18 ore di seguito. Certo, il nostro è un lavoro che se sbagli un colpo esci fuori dal giro, ma è anche molto divertente e poi ho sempre fatto una vita sana. Però l’età avanza e occorre stare attenti ai sintomi, sono segnali importanti che ti invia il corpo, vanno raccolti e io, evidentemente, non sono stato attento. Ora lo devo essere soprattutto per mia moglie e mia figlia».
Stella, di 4 anni e mezzo...
«Diventare padre in età avanzata, come è accaduto a me, è stata una scelta d’amore e non un atto di egoismo: avendo una compagna tanto più giovane di me, so che Stella è comunque in buone mani e ciò mi fa sentire meglio rispetto alle preoccupazioni legate alla mia anagrafe. Lotto per continuare a veder crescere la mia creatura, per esserle d’aiuto e un punto di riferimento. Non so se mia figlia abbia capito quanto è accaduto, abbiamo cercato di proteggerla, ma so che i bambini capiscono molto più di quanto immaginiamo: ogni giorno giochiamo insieme, è il suo modo di sorreggermi, mi dà l’energia per continuare a combattere. E se uscirò vincitore da questa vicenda, mi dedicherò maggiormente a fare il testimonial per la ricerca scientifica».
Questa brutta avventura la fa sentire più vicino alla gente?
«Ho avuto spesso la fortuna di essere molto vicino alla gente: a 40 anni ho avuto il privilegio di poter donare midollo osseo a una persona salvandogli la vita. E quando a ottobre mi sono trovato in ospedale con tanti malati, ho avuto la fortuna di sentirmi confortato dal loro affetto, mi hanno fatto forza». 
Forza che lei comunica tutte le sere su Rai1: è cambiato anche il suo modo di condurre l’Eredità?
«Assolutamente sì. In teoria, sono nelle condizioni peggiori per condurre un gioco divertente, ma la voglia di giocare e di far giocare i concorrenti e il pubblico da casa supera ogni ostacolo fisico e mi sorprendo a scherzare, a motteggiare con loro come prima non facevo: la malattia è diventata paradossalmente un valore aggiunto, un arricchimento nel lavoro».
Un lavoro che, in passato, è stato anche di attore. 
«Sa una cosa? Quando anni fa feci teatro, per esempio La vedova allegra con Andrea Bocelli, mi si è spalancato un mondo: in fondo ero un timido, ma quando stai sul palcoscenico devi tirar fuori la faccia tosta. Uno spettacolo che ho sempre sognato di fare? Aggiungi un posto a tavola, ma dopo il grande Johnny Dorelli ora c’è il figlio Gianluca Guidi che lo fa benissimo. E farei carte false per fare cinema diretto da Pupi Avati, un regista che ha cambiato la carriera a molti attori».
Un regalo che vorrebbe per il 5 febbraio?
«Vorrei solo un pensiero affettuoso da chi mi vuol bene e un augurio per il prosieguo della vita».