Corriere della Sera, 26 gennaio 2018
Miep, la ragazzina che salvò il diario
Se non ci fosse stata Miep Gies, una giovane austriaca adottata dodicenne da una famiglia olandese, sarebbe andata persa la testimonianza più sconvolgente della Shoah. Perché fu lei a conservare il diario a quadretti bianchi e rossi annotato da Anne Frank, sperando un giorno di poterlo restituire alla sua proprietaria. Sarebbe stata lei a consegnarlo a papà Otto, non appena si seppe della morte di Anne e di sua sorella Margot. La storia di Miep, all’anagrafe Hermine Santrouschitz, è raccontata da lei stessa, con l’aiuto della scrittrice americana Alison Leslie Gold, in un libro che dopo anni di assenza viene riproposto in italiano con il titolo Si chiamava Anne Frank (Utet, traduzione di Francesco Forti). Classe 1909, Miep è ventiquattrenne quando un lunedì del 1933 si presenta per un colloquio di lavoro presso la ditta Travies & Co.: a riceverla è Otto Frank, emigrato ad Amsterdam con la moglie Edith e le due figlie per sfuggire alle persecuzioni naziste. Sarà una segretaria tuttofare e affidabile ma soprattutto entrerà in confidenza con la famiglia: al punto che, quando i rastrellamenti delle SS si fanno insopportabili per gli ebrei, insieme con il marito Jan e con altri dipendenti decide di nascondere i Frank in un appartamento sopra gli uffici dell’azienda, proteggendoli nel silenzio dal 6 luglio 1942 al 4 agosto 1944 e senza destare sospetti provvedendo al vitto delle sette persone (poi diventate otto) che convivevano nell’alloggio segreto. «Miep arriva così carica che sembra un mulo, – scrive Anne nel diario —. Quasi ogni giorno riesce a rimediare per noi delle verdure e ce le porta in bicicletta dentro grosse borse da spesa. È sempre lei che ogni sabato ci procura cinque libri della biblioteca». Mai una parola di fastidio, mai un cenno di fatica o di paura per le punizioni che i tedeschi promettevano a chi osava aiutare gli ebrei. Miep Gies terminò il suo memoriale a ottant’anni, e finché morì centenaria, nel 2010, non smise di tenere incontri e conferenze nel mondo per testimoniare la memoria della Shoah. E per dire che non aveva compiuto nulla di eroico ma solo il suo dovere morale.