Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 26 Venerdì calendario

Pasolini e quel ’68 chiuso in un Teorema

Quello di Teorema è un Sessantotto che si esprime poeticamente, per simboli e metafore. Il film di Pier Paolo Pasolini non sta dentro il “movimento di contestazione” anche se, nella vicenda che si racconta, erotismo e religione insieme scardinano la vuota normalità di una famiglia borghese trasmettendo un messaggio più eversivo di certi discorsi politici o manifestazioni di piazza. È il senso del sacro che riemerge con prepotenza nell’opera, pur controversa, dell’intellettuale corsaro. La pellicola, presentata in anteprima cinquant’anni fa alla XXIX Mostra del cinema di Venezia – un’edizione turbolenta, con irruzioni della polizia per sgomberare i sit-in di studenti e registi che non volevano la “competizione” tra i film – fu accompagnata da critiche feroci, fece scandalo e venne temporaneamente sequestrata dall’autorità giudiziaria per oscenità.
Ma al termine di un drammatico processo il regista e il rappresentante della casa produttrice Donato Leoni furono scagionati dall’accusa e Teorema, ritenuto un’opera d’arte, tornò nelle sale, seppur con la visione vietata ai minori di 18 anni. In tribunale il pm aveva chiesto di condannare i due imputati a sei mesi di reclusione e di distruggere tutte le copie destinate alla distribuzione: ma perse la sua battaglia. La sentenza infatti stabilì che «lo sconvolgimento che il film provoca negli spettatori non è affatto di tipo sessuale ma essenzialmente ideologico e mistico».
La storia è ambientata nella primavera del 1968 in una brumosa Milano, capitale italiana del neocapitalismo imperante: in una lussuosa villa con parco, a San Siro, vivono il solido e concreto industriale Paolo (Massimo Girotti), l’elegante moglie Lucia (Silvana Mangano), donna dai modi raffinati, e i due figli Pietro (Andrès José Cruz Soublette), complessatostudente del Liceo Parini e Odetta (Anne Wiazemsky), sensibile e indifesa allieva dell’Istituto delle Marcelline. Con loro c’è la domestica Emilia (Laura Betti), una persona umile, di origini contadine, che parla poco e lavora sodo. Ma a turbare l’apparente tranquillità dei borghesi ecco un telegramma portato dal postino-messaggero Angelo(Ninetto Davoli) che annuncia l’imminente arrivo nella loro casa di un Ospite inatteso ( Terence Stamp). Si tratta di un giovane silenzioso e bellissimo dal cui corpo tutti e cinque saranno fortemente attratti. È il fascino del Mistero che irrompe nella grigia quotidianità provocando turbamenti, abbattendo fragili equilibri, barriere morali ed esistenziali che sembravano insormontabili, e generando un cambiamento quasi antropologico di sé. Nessuno resiste alla seduzione dello “straniero dagli occhi azzurri”. Il quale però, all’improvviso, così com’era venuto, scompare dalla villa senza dare spiegazioni. Un abbandono che getta tutti gli innamorati nella disperazione e nella follia, tranne la serva che torna al suo paese, ritrova le proprie radici popolari, si “salva” e diventa una santa. L’ardito “teorema” pasoliniano, dunque, può spiegarsi così: le colpe dell’ipocrita borghesia sono inemendabili.
Ma questo è un film dalla doppia natura, come tutto il cinema di poesia: una traccia scorre infatti sotto l’impianto narrativo principale e conduce a un finale aperto come in uno psicodramma. Lo stile usato qui da Pasolini con la macchina da presa e il montaggio è di un rigore manierista, alla Godard, anche se le inquadrature si susseguono con una cadenza ossessiva. Nel cast figurano gli scrittori Cesare Garboli e Adele Cambria, il poeta Alfonso Gatto e la mamma di Pasolini, Susanna Colussi, stavolta nei panni di una contadina (era stata la Madonna in Il Vangelo secondo Matteo).
Al Lido il film vinse la Navicella d’oro, ambìto premio dell’Ocic (Office catholique international du cinéma), a Laura Betti andò la Coppa Volpi come migliore attrice protagonista. Il mondo cattolico comunque si divise, la sinistra militante accusò Pasolini di aver realizzato un’opera «mistica, reazionaria e perversa», le destre e i conservatori “benpensanti” portarono l’autore ancora una volta davanti ai giudici. Padre Marc Gervais, il gesuita canadese che presiedeva la giuria dell’Ocic dichiarò: «Evidentemente, l’atmosfera erotica soprattutto una certa sensibilità omosessuale, rendono questo film sospetto. Ma il suo carattere mistico è incontestabile. È un’interrogazione sulla condizione umana. È un’opera sull’esigenza dell’assoluto e su un rifiuto dell’imborghesimento che aliena l’uomo. È un film di grande valore umano e spirituale, d’una intensità e d’una grande qualità artistica». Alberto Moravia disse che la prima parte del film rappresenta quello che è avvenuto duemila anni fa: Dio scende sulla Terra e si fa uomo per dimostrare in concreto alle sue creature fino a che punto arriva il suo amore per loro.
Il critico di Civiltà Cattolica padre Virgilio Fantuzzi – che, folgorato dal suo capolavoro sul Vangelo, volle incontrare più volte Pasolini – sostiene invece che «in Teorema l’autore parla di se stesso mettendo a nudo il suo animo conteso tra pulsioni che lo spingono verso la poesia e verso la religione, divide la sua personalità in cinque spicchi (o cinque petali) così come aveva fatto nella raccolta Poesia in forma di rosa, dove sfogliava “la rosa cinquina del dolore” per parlare delle proprie sofferenze personali come se si trattasse di contemplare i misteri dolorosi del rosario ». Come sempre però il poeta di Casarsa della Delizia si schermì e in un’intervista al critico inglese Jon Hallyday scansò l’idea che si potesse trattare, almeno esplicitamente, di una qualche “epifania del sacro”: «Avrei voluto fare del personaggio di Terence Stamp – spiegò – un dio della fecondità, tipico della religione pre-industriale (...) ma ne ho dovuto fare, di fronte alla situazione reale, un’apparizione genericamente ultraterrena e metafisica: potrebbe essere il Diavolo o una mescolanza di Dio e il Diavolo...».
Sta di fatto che, anche con Teorema, Pasolini ha affrontato lo scandalo e sfidato la morale comune, in un’epoca di fermenti, con la stessa ingenua baldanza di un animale che viene condotto al mattatoio.