Avvenire, 25 gennaio 2018
La caduta dei talebani, l’infiltrazione jihadista e la gara dell’orrore con i rivali di al-Qaeda: breve storia dell’Afghanistan negli ultimi 16 anni
Nei sedici anni passati dalla caduta dei taleban, e con loro della base di terrorismo internazionale creata da al-Qaeda, sono stati ben pochi i mesi in cui la pace è sembrata un sogno raggiungibile per l’Afghanistan, e questo nonostante il pronto dispiegamento di una forza internazionale, l’Isaf. Già nel 2003 erano ben visibili le difficoltà dell’allora presidente Hamid Karzai a rimettere in piedi un Paese devastato da lunghi lustri di guerra, prima contro l’invasore sovietico e poi intestina.
L’Afghanistan appariva di nuovo allo sbando. I Signori della guerra comandavano nei loro feudi, indifferenti all’autorità di Kabul. E mentre solo una minima parte dei promessi miliardi di dollari in aiuti internazionali era arrivata nelle mani del governo, la coltivazione di papaveri da oppio tornava ad essere la principale fonte di entrate, controllata dalla mafia dei narcotrafficanti.
Nel caos che perdura ancora, i taleban si rafforzano, ed espandono continuamente il loro controllo su nuove province. Come se non bastasse, nel Paese, dal 2014, ven- gono alla luce i primi gruppi affiliati al Daesh che, da lì da pochi mesi, creeranno la cosiddetta «Wilaya del Khorasan». La proclamazione di una nuova provincia del Daesh nella regione ha rappresentato un aperto gesto di sfida all’autorità di Ayman al-Zawahiri che ha sempre considerato l’area pachistano-afghana una roccaforte di al-Qaeda, pur mantenendo la vecchia alleanza di sangue con i taleban.
I passi positivi compiuti dal governo sono così cancellati dai continui attentati compiuti ora dai taleban, ora dalla filiale locale del Daesh, in una sorta di balletto dei due gruppi rivali, che cercano così di guadagnare punti marcando il territorio. I taleban mettono la loro “firma” sull’Intercontinental? Il Daesh risponde attaccando una Ong straniera «che fa proselitismo cristiano». Entrambi i gruppi sembrano comunque rispondere al recente trasferimento (13-15 gennaio) dell’intero Consiglio di sicurezza dell’Onu a Kabul per reiterare al presidente Ashraf Ghani il sostegno della Comunità internazionale a un «processo di pace inclusivo» previsto per febbraio, che dovrebbe avviare l’Afghanistan alla riconciliazione. In fondo, l’attivismo del Daesh in Afghanistan si esercita ormai di gran lunga oltre le piccole sacche che controlla sul confine con il Pakistan (nelle province di Nuristan, Kunar e Nangarhar) e nel centro del Paese (nelle province di Zabol e Ghazni). E crescerà ulteriormente con ogni probabilità con il continuo arrivo nel Paese asiastico di molti jihadisti, in fuga da Iraq e Siria. Prova ne è la moltiplicazione degli attentati spettacolari rivendicati dal gruppo, alcuni dei quali nel cuore di Kabul. Molto spesso si tratta di attacchi contro i membri della comunità sciita hazara. Come quello del 20 ottobre scorso, quando un kamikaze ha provocato la morte di 57 fedeli sciiti in una moschea della capitale afghana. Nella partita Daesh-taleban, il governo di Kabul sembra un po’ assente, tanto che viene spesso accusato di negligenza. La Russia lamenta invece che le truppe degli Stati Uniti (14mila militari, inclusi i 3mila giunti a settembre) concentrino i propri sforzi contro i taleban, permettendo in tal modo al Daesh di espandere la sua influenza in un Paese che confina con diverse repubbliche ex sovietiche.