il Giornale, 25 gennaio 2018
Parigi apre il processo sulle stragi jihadiste. L’aula non basta: maxi schermi in tribunale
Un centinaio di avvocati, oltre trecento parti civili, 150 giornalisti di 60 testate diverse e un angolo ad hoc dedicato alle vittime, con psicologi messi a disposizione dalla giustizia francese per tamponare le ferite di uno choc indelebile. L’aula 16 del tribunale penale di Parigi non è grande abbastanza per contenere la folla accorsa ieri al primo processo sugli attentati islamisti del 13 novembre 2015, quando la capitale francese fu colpita dal peggior attacco dal Dopoguerra: 139 morti e 683 feriti. Fu la guerra quel giorno a Parigi, dallo Stade de France, dove tra il pubblico c’era l’allora presidente Hollande, al Bataclan, quando al grido di Allahu Akbar furono falciate le vite di 90 ragazzi durante un concerto rock. Un attacco all’Occidente da parte dell’Islam politico che ha avuto come solo precedente la strage del 2004 a Madrid. Per questo, nonostante gli avvocati avessero chiesto un processo a porte chiuse, ieri a Parigi è andato in scena un evento anche mediatico, proiettato su grande schermo in altre due sale del tribunale, per dare spazio alle centinaia di addetti ai lavori e cittadini che l’aula 16 non riusciva a contenere. Due ore di ritardo per sbrigare le procedure di controllo, poi via alla prima udienza di un processo che durerà tre settimane e avvia il cammino verso una sorta di catarsi nazionale. Vietate le foto, ammessi in aula solamente quattro disegnatori.
Sotto accusa sono tre pesci piccoli ma l’evento ha soprattutto un valore simbolico. Dei tre alla sbarra, Jawad Bendaoud, il principale imputato, detto «l’affittacamere dell’Isis», è l’uomo sul quale la Francia «ha riso dopo aver pianto troppo» (definizione di uno degli avvocati). Perché la giustificazione accampata dal giovane, 31 anni, quando è stato scovato dal Raid, le teste di cuoio della polizia, nell’assalto a Saint-Denis cinque giorni dopo le stragi commesse dai suoi inquilini (a cui aveva affittato l’appartamento per tre giorni), a favore di telecamera aveva detto: «Ho saputo che stavano a casa mia. Non ero al corrente che fossero terroristi. Mi hanno chiesto di dare una mano e l’ho data». Il video diventò virale, migliaia le parodie per il commento surreale di Bendaoud, oggi accusato di «favoreggiamento». Il sospetto è che abbia fornito un tetto ai terroristi ma non conoscesse realmente i loro piani. Le parti civili e la procura si dividono, mentre Bendaoud piange durante l’udienza. «Dovete stabilire se è un terrorista. Per noi non lo è», dice l’accusa. Le parti civili chiedono invece che Jawad Bendaoud, recidivo che ora rischia sei anni di prigione e 90mila euro di multa, e Mohamed Soumah, uno dei tre alla sbarra (sospettato di aver fatto da intermediario), siano imputati per «atti di terrorismo», come il terzo uomo, Youssef Aït Boulahcen, accusato di non aver denunciato crimini di natura terroristica.
Intanto gli abitanti dell’edificio di Saint Denis messo a ferro e fuoco durante il blitz nel comune alle porte di Parigi (rimasero sette ore sotto i materassi mentre si sparava all’impazzata), chiedono di essere riconosciuti «vittime di terrorismo». Quella notte sarà difficile da dimenticare. In 49 hanno perso casa e cinque famiglie sono ancora senza un tetto.