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 2018  gennaio 24 Mercoledì calendario

Gli astenuti spiegano perché non votano

Ma chi l’ha detto che il quadro politico è frastagliato e non si capisce nulla? In realtà c’è un partito che, se si presentasse, vincerebbe in tutti i collegi uninominali e sarebbe primo anche nel proporzionale, senza neppure bisogno di coalizzarsi. È quello degli astensionisti. Alle scorse Politiche, nel 2013, sono stati oltre undici milioni e mezzo, circa il 25% del corpo elettorale, ma quest’anno sono destinati a superare il 30. Gli esperti dicono «33», corrispondente a 15 milioni di elettori, ma gli addetti ai lavori temono addirittura che i non votanti possano addirittura toccare il 40% delle Europee del 2014, le elezioni del trionfo di Renzi e del Pd. 

Lo studio più aggiornato e approfondito sul tema è stato commissionato dalla Fondazione Magna Carta, presieduta dal senatore Gaetano Quagliariello, professore costituzionalista e fondatore di Idea, formazione moderata appartenente alla cosiddetta «Quarta Gamba» del centrodestra. Realizzato da Ipr Marketing, esso sarà presentato oggi a Roma, ma Libero è in grado di fornirvi alcune anticipazioni. Il campione è stato scelto rigorosamente tra persone che dichiarano di non aver votato negli ultimi 4/5 anni e copre l’intera Penisola e qualsiasi gamma di elettore, sia in quanto a preferenze politiche che a classe sociale ed età. 
Il dato chiave è che almeno la metà degli astenuti è recuperabile. Ci sono 7,5 milioni di potenziali elettori che in questi quaranta giorni potrebbero ricredersi, andare alle urne e decidere l’esito elettorale. Se infatti il 52% degli interpellati si dichiara disgustato (39) o indifferente (13) verso la politica, e pertanto ha un’avversione talmente consolidata che non si vede cosa possa fargli cambiare idea, il restante 48% è alla finestra, diviso tra disorientati (28%), attendisti (10) o arrabbiati (10). Si tratta di italiani che hanno un interesse vivo nei confronti della politica, e magari l’hanno anche vissuta in prima persona ma che non vanno a votare perché attualmente essa gli provoca dei sentimenti negativi. 
GIUDIZIO MOBILE 
Per lo più, essi non si riconoscono in nessuna offerta politica e non nutrono fiducia nei leader dei partiti in lizza, ma seguono le vicende del Palazzo e hanno opinioni radicate e differenziate.
Il loro giudizio non è congelato, ma evolve e si modifica. Quindi, teoricamente, su di essi la campagna elettorale può avere effetto. Il problema sta solo nella credibilità dei politici e dei loro programmi, attualmente non in grado di attrarli. 
Più difficile, ma non impossibile, riportare alle urne gli arrabbiati. Essi, per la stragrande maggioranza, hanno poche o punto speranze che il loro voto possa cambiare il Paese e nutrono una sfiducia di lunga data. Per loro la politica è un mondo a parte, una casta deideologizzata che cura i propri interessi senza badare al resto della cittadinanza, destinata a essere sfruttata e spremuta. È il popolo degli inascoltati, vivono le istituzioni come una minaccia dalla quale guardarsi, sono insoddisfatti della loro condizione attuale e ne attribuiscono ogni colpa alla politica. 
Di particolare interesse è la motivazione dell’astensione indicata da chi comunque sostiene di avere una coscienza politica. Si scopre infatti che lo scetticismo non deriva da una crisi personale di ideali, dichiarata solo dal 20% degli intervistati, bensì soprattutto da una sfiducia nei leader in campo (36) e, ancora di più, nei partiti (40). È il dato che fotografa l’incapacità di Cinquestelle di aumentare consensi pescando tra gli astensionisti. Anche i grillini sono vissuti ormai come una componente del sistema dei partiti, in grado forse di incarnare ancora la protesta, ma del tutto fine a se stessa, e pertanto di scarso interesse verso chi conserva ideali politici, che attualmente sono in attesa di trovare collocazione. Considerato che il campione è scelto tra persone che non votano da cinque anni, è evidente che si tratta per lo più di ex elettori di Forza Italia, del Pd, della sinistra più estrema e orfani di Scelta Civica, che delusi da Monti non sanno più dove sbattere la testa. Visto che Lega e Fratelli d’Italia dal 2013 a oggi hanno, sulla carta, moltiplicato i consensi non possono considerarsi infatti colpiti dall’astensionismo se non in maniera minima.
La sfida dei partiti è dunque riportare almeno un astensionista su due alle urne. E a giocarla sono soprattutto i Dem e il centrodestra. Entrambi però partono con un handicap. Almeno il 20% degli astensionisti confessa di non andare alle urne anche perché deluso dal Rosatellum, la legge nata dall’intesa tra democratici e forzisti che di fatto sembra realizzata apposta per non far vincere nessuno. La difficoltà che si prospetta a creare una maggioranza di governo è infatti un elemento di pessimismo che fa ritenere inutile recarsi al seggio a molti elettori. Ma la sfiducia nei partiti è presente anche tra quanti, malgrado la scelta di disertare il voto, hanno aspettative positive rispetto alla consultazione del 4 marzo. Il 23% degli intervistati ha fiducia nel futuro, ma la fa dipendere «dalla congiuntura favorevole che fa intravedere timidi segnali di ripresa» e non dall’azione o dalle promesse delle forze in campo. 
TROPPE PROMESSE 
A tirare le fila, la morale è semplice. La corsa di tutti a promettere l’impossibile non convince un solo scettico. Tanto più sono avveniristiche le promesse, tanto più si consolida la diffidenza verso la classe politica e si nutre il sentimento di rigetto. L’elettorato è deluso e non crede alle favole che gli vengono raccontate, le quali hanno l’effetto di allontanare ancora di più i potenziali astenuti e al massimo fidelizzano un consenso che già c’è. I passaggi di campo tra destra e sinistra o dal voto tradizionale al voto di protesta e viceversa sono minimi. Chi cambia, o resta nella stessa area (Lega-FI-Fdi-centristi, PdLeU-Bonino) o resta a casa. 
Il Pd ha margini di recupero scarsi in quanto il fatto di venire da sei anni di governo lo penalizza rispetto agli avversari, specie adesso che il voto contro non ha più la presa di un tempo. La fuga dei suoi elettori tradizionali peraltro ha già dato un segnale allarmante nel 2014, quando in Emilia si recò a votare solo il 40% degli aventi diritto. 
Lo schieramento di centrodestra è dato intorno al 37-38%, ossia il dato del 2013 più il risultato di Scelta Civica di Monti. Avrebbe discreti margini di recupero ma il suo risultato ha due variabili non ancora definitivamente sondabili: se i partiti sovranisti hanno raggiunto il loro limite fisiologico di crescita e fin dove può spingersi la rimonta berlusconiana. La proliferazione di liste, partiti e partitini, favorita dal proporzionale non si traduce in un maggior numero di elettori, specie al Nord, dove per la prima volta il dato dell’astensionismo potrebbe essere superiore a quello del Mezzogiorno. E questa per il centrodestra non è una buona notizia.