la Repubblica, 25 gennaio 2018
I padroni di dati e la nostra idea di democrazia
Per prima cosa, la buona notizia: all’alba del terzo decennio del Ventunesimo secolo, la logica operativa dell’economia digitale sta finalmente diventando più facile da decifrare. Le principali attività dei colossi digitali, sia negli Stati Uniti che in Cina – gli unici due Paesi che hanno davvero assunto il controllo di questo nuovo settore – ruotano attorno a ciò che io definisco “estrattivismo dei dati”, ossia lo sforzo di estrarre, elaborare, raccogliere e agire sulla maggior quantità possibile di dati provenienti da ogni parte del mondo, i nostri dati, perché di questo si tratta.
La brutta notizia? Senza uno sforzo sostenuto e guidato dall’Europa per invertire questa logica basata sull’“estrattivismo dei dati”, il resto del secolo potrebbe risultare piuttosto sgradevole. Ahimè, non possiamo permetterci il lusso di un tecno-pessimismo o di un romanticismo nostalgico che si strugge per vivere in un’era più semplice. Al contrario, dobbiamo riconquistare quegli stessi serbatoi di dati per sviluppare modelli sociali, economici e politici che siano meno inclini a generare una disuguaglianza di reddito, che invertano la tendenza che vede i normali cittadini sempre più lontani dalla politica, e che riducano la crescente vulnerabilità della società che si ritrova a dipendere sempre di più dalle incessanti attività dei colossi digitali, l’unico settore, molto più delle banche, diventato “too big to fail”, troppo grande per fallire.
Affinché tali interventi possano essere efficaci, dobbiamo capire meglio cosa vi è alla base dell’estrattivismo di dati del mondo moderno. (…) L’impulso iniziale era essenzialmente pragmatico e legato ai primi business model di quelle aziende: Google e Facebook avevano bisogno di più dati sui loro clienti per migliorare il target dei propri annunci, mentre Amazon ne aveva bisogno per consigliare meglio i prodotti che potevano essere potenzialmente interessanti. (…) Tutto è poi cambiato in quanto quegli stessi dati potevano essere utilizzati per sviluppare e perfezionare un approccio all’intelligenza artificiale particolarmente “data-intensive”, ossia quello del “deep learning”. Il suo principio fondamentale è piuttosto semplice: più dati – audio, video o immagini – vengono inseriti nel sistema, migliore sarà quel sistema nel classificare tali dati fino a creare autonomamente, dopo un certo lasso di tempo, tipologie di dati completamente nuovi e simili. (…) Ed è qui che i colossi digitali hanno capito che, avendo accumulato tutti quei dati, erano seduti su una miniera d’oro.
L’ultimo decennio – l’inizio dell’era dell’estrattivismo di dati – non è stato privo di alcuni importanti vantaggi per i cittadini, i governi e le aziende non tecnologiche. Non è stato tutto così nero e ostile. Molte cose sono diventate gratuite o molto più economiche, in quanto sono state finanziate dai colossi della tecnologia interessati a estrarre i dati generati da tali attività o da venture capitalist desiderosi di spodestare aziende o settori industriali ormai consolidati, sostituendoli con start-up più agili. (…) Ma, insieme a questi vantaggi, anche gli aspetti negativi dell’estrattivismo di dati sono diventati evidenti. Prima di tutto, il modello attuale avalla un accordo implicito relativo a chi è autorizzato a innovare sulle grandi questioni: curare tumori, allungare la vita, gestire automobili a guida autonoma. (…) In altre parole, nonostante tutti i bei discorsi sulla democratizzazione dell’innovazione, il lavoro serio su progetti significativi è nelle mani di pochi, e così sarà fino a quando questi ultimi controlleranno l’accesso alle principali risorse dell’economia digitale. (…) In secondo luogo, l’immenso risparmio economico ottenuto delegando responsabilità alle grandi aziende tecnologiche – un processo che sarà accelerato dal lo sviluppo dell’intelligenza artificiale – potrebbe produrre risultati opposti, in quanto le vulnerabilità già esistenti nei sistemi di sicurezza informatica saranno ulteriormente sfruttate.
(…) Tuttavia, l’ecosistema delle startup nate attorno a tecnologie come l’Internet of Things si basa più sull’avidità che sulla prudenza – un fatto che diventerà evidente quando tutti i dispositivi online si rivolteranno contro di noi e pretenderanno un riscatto.
Come terzo punto, l’attuale regime dell’“estrattivismo di dati” apre così tante tentazioni che, data l’attuale valanga di problematiche politiche e sociali da affrontare, molti politici non sarebbero in grado di resistere. Prendiamo la questione della sicurezza informatica: anziché ripensare radicalmente al motivo per cui persiste il problema e come può essere correlato alle premesse dell’economia digitale, la reazione più probabile sarebbe quella di seguire l’invitante richiamo di Microsoft e degli altri colossi digitali e approvare una sorta di Convenzione di Ginevra del digitale, secondo cui il modo migliore per proteggerci dalle vulnerabilità delle aziende tecnologiche è... acquistare ancora più servizi dalle aziende tecnologiche, ma quelle meglio attrezzate a livello di intelligenza artificiale e di analisi dei dati in tempo reale per prevenire i principali attacchi informatici. Ma questa è la soluzione giusta, considerando la divaricazione fra cittadini e chi li governa? Anzi, questo non farà altro che fomentare ulteriormente la rabbia populista.
Inoltre, le quantità di dati raccolti sul comportamento individuale e l’immensa plasticità di quest’ultimo considerando il numero infinito di “incentivi” che potrebbero essere creati mentre i nostri vari assistenti intelligenti imparano a conoscere e sfruttare le nostre vulnerabilità psicologiche, possono dare un notevole impulso all’ala tecnocratica dei governi, ossia coloro che predicano le virtù del “nudging” e di altri interventi basati sull’economia comportamentale. A prescindere dai meriti scientifici, tali programmi rischiano di confermare i sospetti delle forze anti-establishment (e dei loro elettori) secondo cui lo spettacolo è gestito da tecnocrati desiderosi di attuare i loro programmi.
Le opzioni, per l’Europa, non sono così numerose: può ulteriormente aumentare la propria dipendenza dall’“estrattivismo di dati”, beneficiando dei suoi numerosi vantaggi, almeno finché durano.
(…) L’altra possibilità è affrontare di petto la questione, rendersi conto di quanto l’“estrattivismo di dati” sia importante per il futuro dell’Europa e la sua economia, e utilizzare la democratizzazione dell’accesso ai dati – che richiederebbe forti interventi sia della Commissione Europea che dei governi nazionali – per affrontare anche altri problemi, dalle start-up escluse dalla possibilità di innovare tramite progetti veramente ambiziosi ai cittadini che si sentono lontani da una politica dominata da forze che sentono di non poter controllare.
Se l’Europa gioca bene le proprie carte, la sua lotta contro l’“estrattivismo di dati” potrebbe rivelarsi una benedizione sotto mentite spoglie.