Corriere della Sera, 25 gennaio 2018
Gioventù ignorata
A nome di chi non ha più la sua età, vorrei chiedere scusa alla dottoressa Elisiana Lovero, specializzanda di trentatré anni. Nemmeno pochi, ma in Italia fino ai quaranta un medico – un avvocato, un usciere, un qualsiasi essere umano che non faccia il tronista o il candidato premier – viene trattato come se sedesse ancora sui banchi delle elementari. La dottoressa, assistente anestesista, segnala che la ragazzina sotto i ferri per una frattura al femore è in pericolo di vita. Ma nessuno le dà retta, in quella sala operatoria di Bari. A cominciare dai chirurghi, che si sentono rallentati, persino infastiditi dalle sue osservazioni. Alla fine la allontanano dalla sala come un’intrusa, senza scendere dal pero delle loro certezze. La paziente muore. E adesso ci si chiede: perché non hanno creduto alla dottoressa, l’unica ad avere capito come stavano le cose? Perché era donna? Si spera di no. Dunque perché era giovane e non ancora «di ruolo»?
Abbiamo sentito dire tante volte che una società sana trae linfa dalle voci più fresche e se ne lascia sorprendere. Non giudica le persone solo in base alla carta di identità e al numero di mostrine cucite sulla divisa. Il capo decide, ma prima di farlo presta orecchio a tutti i pareri, specie a quelli che provengono dalle menti meno contaminate dall’abitudine. Il fatto che succeda sempre più di rado è indice di presunzione e di paura. Chi si sente arrivato si sente anche infallibile e al tempo stesso minacciato da una generazione che invece ha l’impressione di non arrivare mai.