La Stampa, 25 gennaio 2018
La sindacalista licenziata dalla Cgil: Da paladina dei deboli a disoccupata
Una pasionaria dei diritti delle donne e dei lavoratori precari licenziata in tronco dal sindacato. La «notizia un po’ originale», per citare il suo amato Fabrizio De André, vede protagonista Ketti Carraffa, 53 anni, madre single con un figlio minorenne a carico e un mutuo trentennale ancora da estinguere. Dopo un decennio di lotte e battaglie a tutela dei deboli, la signora Ketti si è vista recapitare a casa una raccomandata. «Oggetto: licenziamento per superamento del periodo di comporto». Per la Cgil, in pratica, la dipendente assunta a tempo indeterminato ha fatto troppi giorni di malattia. Ma l’interessata non ci sta: «Sono stata vittima di mobbing, demansionamento e discriminazioni. È per questo che mi sono ammalata». E annuncia le vie legali: «Andrò avanti, ho già incaricato l’avvocato».
L’impegno
Figlia di una sindacalista, Ketti Carraffa – conosciuta come Ketty -, racconta di essere entrata nel sindacato una decina di anni fa. «Prima ero precaria: mi sono dedicata al fotogiornalismo, alla comunicazione politica e, infine, all’insegnamento di cinema in una scuola civica del Comune di Milano». Nel 2006 cambia vita. «Mi avevano proposto di candidarmi per un posto alla segreteria generale di Milano. E così ho fatto e sono entrata come funzionaria con responsabilità del Nidil». L’acronimo significa «Nuove identità di lavoro» e indica la struttura della Cgil creata nel 1998 per rappresentare i dipendenti in somministrazione, gli atipici e i liberi professionisti. «È stata una bella sfida difenderli ed è durata otto anni», dice l’ex sindacalista. Nel 2014, finito il secondo mandato nella segreteria della Camera del lavoro di Milano, si aspettava di essere trasferita in un altro posto da funzionario o da dirigente. «Ma non è andata così...», dice contattata telefonicamente. E racconta, non senza sarcasmo: «Guardi, sto portando le pratiche per la mia disoccupazione alla sede dell’unione sindacale di base».
È a partire dal settembre 2014 che, secondo quanto racconta l’ex sindacalista Carraffa, sarebbero cominciate le discriminazioni. «Mi hanno mandata al patronato Inca, sempre dipendente dalla Cgil di Milano. Dovevo occuparmi di pratiche di disoccupazione in un ufficio che assomigliava in tutto per tutto a un call center. Di fatto mi hanno demansionato: da un posto di livello dirigenziale sono finita a fare fotocopie». Una rabbia, quella di Ketti, che monta quando rivendica quanto fatto per il sindacato. «Nei miei anni alla segreteria ero spesso ospite in tv, come opinionista ed esperta dei diritti delle donne». E aggiunge: «Pensi che delle mattine, in metropolitana, mi avvicinavano delle donne che volevano raccontarmi le loro storie di soprusi». E poi un sospetto: «Forse questa visibilità ha creato invidie o non è andata bene a qualcuno nei piani alti».
I regolamenti
La Cgil preferisce non commentare. Dalla sede milanese della Camera del lavoro si fa sapere che «esistono dei regolamenti che sono state rispettati». All’articolo 26 dello Statuto è previsto il licenziamento se si superano i 365 giorni di assenza. All’ex sindacalista si imputa di averne fatti 398. Rapporto cessato e cordiali saluti. Ma l’interessata non ci sta. Ed è pronta alla battaglia, questa volta per i suoi diritti. «La diagnosi dei medici è “stress da lavoro”: se mi sono ammalata è colpa loro». Al giudice l’ultima parola.