La Stampa, 25 gennaio 2018
Ripresa e dazi: il presidente Usa rivendica successi in economia
Solo sette mesi fa, quando l’antiglobalista Steve Bannon dettava l’agenda della Casa Bianca, Trump a Davos sarebbe stato un’eresia. La sua campagna elettorale era stata costruita contro l’uomo di Davos, che aveva approfittato degli ingenui lavoratori americani per arricchirsi, e ora andava punito. Le cose però cambiano in fretta nell’amministrazione Trump, e oggi il capo della Casa Bianca arriva in Svizzera, per tenere domani il discorso conclusivo dell’incontro.
I motivi di questa scelta sono almeno quattro: primo, rivendicare i successi economici davanti ai suoi critici; secondo, promuovere l’agenda di «America First» e attirare investimenti; terzo, coltivare i rapporti con gli altri potenti del mondo; quarto, non lasciare questo straordinario palcoscenico mediatico ai rivali, come era accaduto l’anno scorso col presidente cinese Xi, incoronato nuovo leader della globalizzazione.
In un tweet della vigilia, Trump ha detto che «gli investimenti si moltiplicano, siamo già tornati grandi». Il ministro del Tesoro Mnuchin ha spiegato che «America First non significa isolarci. Restiamo favorevoli all’economia liberista, ma giusta. Non ci dispiace il dollaro debole, perché aiuta le esportazioni». Sui dazi, il ministro del Commercio Ross ha detto che «erano necessari per rispondere alle scorrettezze dei concorrenti. Ne arriveranno altri, su acciaio, alluminio e proprietà intellettuale».
I risultati
Il titolo della conferenza, «un futuro condiviso in un mondo frammentato», sembra pensato apposta per contrastare la linea di Trump, ma questa sfida semmai lo incoraggia a partecipare. La prima cosa che farà sarà un «victory lap», per rivendicare i propri successi: crescita economica accelerata, disoccupazione ai minimi, borsa alle stelle, tagli alle tasse appena varati e semplificazione delle regole. Sulla base di questi risultati, promuoverà l’agenda di «America First», invitando i colleghi a imitarla. Trump ha impostato la campagna elettorale contro gli effetti negativi della globalizzazione sulla classe media americana, ma sa bene quanto possa essere utile, perché la sua stessa azienda ne ha approfittato per concludere affari in tutto il mondo.
Il nodo degli scambi
A patto però che gli uomini di Davos accettino i suoi correttivi. Primo fra tutti, un sistema di scambi che non penalizzi l’America, dalla possibile cancellazione dell’accordo Nafta ai venti di guerra commerciale con la Cina. E pazienza se 11 paesi asiatici vareranno comunque il Tpp senza gli Usa. Trump privilegia le relazioni bilaterali a quelle multilaterali, perché ritiene che questo approccio favorisca la forza unica e degli Stati Uniti, sconfinando se necessario nel protezionismo.
I tagli alle tasse e la riduzione delle regole che lui ha varato andrebbero imitati da tutti, ma se gli altri non lo faranno sarà meglio per l’America, che così attirerà gli investimenti delle grandi aziende globali. Stesso discorso per energia e sviluppo industriale, che lo hanno spinto ad uscire dall’accordo di Parigi sul clima, perché a suo avviso penalizzava gli Usa. La politica estera di Trump è apparsa abrasiva a molti alleati europei, ma lui non farà passi indietro su Corea del Nord, Iran, lotta al terrorismo, e i piani per ridefinire gli equilibri del Medio Oriente. Forse la sua base non capirà bene questa presenza a Davos, ma i toni chiariranno che non è venuto per arrendersi.