La Stampa, 25 gennaio 2018
La missione italiana anti-trafficanti in Niger nelle basi degli americani
Vigilia di missioni militari per l’Italia. Si raddoppia l’impegno bilaterale in Libano. Si sta per cominciare in Niger. È questa l’eredità del governo Gentiloni: ridurre progressivamente l’impegno sui fronti lontani quali Afghanistan e Iraq, dove restiamo essenzialmente per onorare la parola con gli americani, e concentrarci sul Mediterraneo e dintorni.
In Niger, il nostro contingente – i primi 120 uomini a giugno, il resto nei mesi seguenti – si sistemerà alla periferia della capitale, Niamey. Saremo ospiti degli americani, che anch’essi hanno lì una missione militare. Non ospiti dei francesi, dunque. Tantomeno schierati in basi avanzate nel deserto del Sahara. Si rafforza così, fin dalla scelta della location, il profilo no-combat della missione italiana. Ed ecco la differenza sostanziale con i francesi, che invece fanno anti-terrorismo e sono attestati nel fortino Madama, quasi ai confini con la Libia. D’altra parte il ministro della Difesa voluto da Macron, la signora Florence Parly, fin dal primo colloquio con la collega Roberta Pinotti, ha precisato che siamo i benvenuti nel Sahel, «ma solo se venite per combattere». Così non sarà. Le due missioni saranno diverse, parallele, senza alcuna interdipendenza.
Come garantisce il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Claudio Graziano, il compito del contingente italiano sarà strettamente di addestramento, volto a rafforzare le capacità delle forze di sicurezza locali. Quanto fa anche la missione statunitense Acota (Africa Contingency Operations Training and Assistance) a cui andiamo ad affiancarci.
Quello italiano sarà comunque un addestramento meno «protagonista» di come lo intendono gli Stati Uniti, che in questi casi seguono i reparti da loro addestrati anche in prima linea. Ovviamente correndo dei rischi. Nell’ottobre scorso un convoglio misto, americano e nigerino, è caduto in un’imboscata di jihadisti e ieri sui siti islamisti è comparso un video dell’episodio.
A noi, diversamente dalla Francia, preme che il Niger si rafforzi soprattutto per frenare l’immigrazione clandestina che confluisce in Libia. Per questo abbiamo appena aperto in quel Paese un’ambasciata ed era accorso il ministro Angelino Alfano a sottolinearne l’importanza strategica. E spingiamo sugli aiuti della cooperazione. «Al Niger – diceva – Paese molto fragile che raccoglie 150.000 rifugiati abbiamo voluto destinare più di 100 milioni di euro. I risultati ci sono stati e parlano chiaro: drastica riduzione dei flussi dai 330 mila del 2016 ai 62 mila del 2017».
L’accordo raggiunto tra i nostri Stati maggiori e il comando Africom delle forze armate Usa ci garantisce dunque fin dal primo momento una solida cornice di sicurezza. Il Villaggio Italia nascerà in un compound già urbanizzato e protetto. Naturalmente le spese per i nostri saranno a carico nostro.
In questo riposizionamento di forze, rafforziamo anche la cooperazione militare con il Libano. Nel Paese dei Cedri l’Italia ha il secondo contingente, dopo l’Indonesia, all’interno della missione Unifil dell’Onu, con circa 1100 soldati dalla Brigata Folgore. Accanto a Unifil c’è un’altra missione, bilaterale, denominata «Mibil», per l’addestramento delle forze armate libanesi. E «Mibil» ora raddoppia. Anche se i numeri sono ridotti – da 25 si passerà a 53 militari – l’obiettivo è cruciale. Abbiamo addestrato finora 1200 soldati libanesi, compresa la Guardia presidenziale e reparti di montagna.
L’esercito libanese è uscito distrutto dalla guerra civile, quando si spaccò in fazioni legate alle confessioni religiose, ma ora rappresenta un pilastro della coscienza nazionale, con un forte consenso in tutta la popolazione. Dal 2014 le forze armate libanesi, che svolgono anche funzioni di polizia, hanno retto l’urto delle infiltrazioni islamiste dalla vicina Siria, e la scorsa estate hanno cacciato sia Al Qaeda che l’Isis dalle zone di confine. La protezione della frontiera a Nord ha però costretto l’esercito a ridurre la sua presenza a Sud, dove dovrebbe man mano affiancare e poi sostituire, quando ci saranno le condizioni politiche internazionali, la missione Unifil che veglia sulla frontiera con Israele. L’addestramento fornito dall’Italia permetterà di costituire un nuovo reggimento, che potrà essere inviato al Sud per le pattuglie congiunte con Unifil. Più esercito significa anche meno Hezbollah.