Il Sole 24 Ore, 25 gennaio 2018
Indagini complicate dai tanti dialetti parlati. Intervista ad Alessandro Giuliano, direttore dello sco
Il Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia di Stato ha avuto un ruolo determinante nello smantellamento della presunta associazione mafiosa che da Prato gestiva traffici in mezza Europa oltre che nel centro-nord Italia.
Alessandro Giuliano, palermitano, 51 anni, per lungo tempo capo delle Squadre mobili di Padova, Venezia e Milano, dopo un breve passaggio nel 2016 come questore di Lucca, da marzo 2017 è il direttore dello Sco e a lui Il Sole 24 Ore chiede di approfondire la galassia criminale cinese in Italia e all’estero.
L’indagine è stata lunga e complessa. A chi va il merito di aver raggiunto questo primo risultato: il vaglio del Gip.
Senza dubbio alla grande professionalità della Procura distrettuale antimafia di Firenze, che ha consentito di registrate il delitto di associazione mafiosa per un gruppo straniero sul territorio italiano e poi a quanti hanno permesso che l’indagine fosse condotta con grande capacità.
Quali sono state le difficoltà tecniche di questa indagine: come avete fatto, ad esempio, a interpretare i dialetti cinesi intercettati?
Lo svolgimento delle operazioni tecniche è stato complesso. Abbiamo dovuto reperire interpreti e non di rado siamo stati costretti a trovare un doppio interprete: dal dialetto al mandarino e dal mandarino all’italiano.
L’indagine è durata anni: data per scontata la complessità, cosa è possibile fare, in casi come questo, per ridurre i tempi dell’inquinamento mafioso nella economia e nella società?
È una difficoltà difficilmente superabile perché la raccolta degli elementi di prova, oltretutto in questo caso per un’associazione straniera, ha bisogno di tempo e scrupolo. Ci vuole dunque grande attenzione ma il monitoraggio di questo gruppo criminale, nel tempo, è stato continuo.
Il modus operandi – famiglia, violenza e sfarzo nei matrimoni – richiama l’ancestralità delle cosche di ‘ndrangheta. Lo schema si ripete anche nei legami con la madrepatria per la pianificazione, gestione e condivisione degli affari e dei profitti?
Ci sono degli indagati che si trovano in Cina ma questo non ci permette di escludere né affermare che ci sia stata una regia delle attività criminose della Cina. Devo dire che in questo caso specifico il fatto più preoccupante, che rende simile questa associazione alle mafie italiane, è l’espansione verso l’economia legale con la finalità di ottenere il regime di monopolio. Per conseguire il controllo di mezzi cinesi su strada sono state effettuate spedizioni punitive e perfino sparatorie in diversi Paesi d’Europa.
Quali sono i rapporti che intercorrono tra la mafia cinese e le mafie italiane o altre mafie transnazionali?
Questa specifica compagine è un gruppo di tipo mafioso ma in questo caso non abbiamo verificato connessioni con le mafie indigene. Le mafie italiane sono connotate da opportunismo e mobilità mentre, più di altre, la mafia cinese tende, quando può, a rimanere isolata.
Alla luce del fatto che la finalità delle mafie è fare affari, quando non è possibile giungere a matrimoni di interessi si giunge allo scontro sul territorio per affermare la propria superiorità: è possibile ipotizzare una lotta per la supremazia in alcune aree?
Va valutato caso per caso. Qui il segmento dell’economia era molto specifico: il trasporto cinese su terra. Evidentemente lo scontro era solo all’interno dell’etnia cinese.
Lombardia e Lazio entrano nelle indagini. Non era difficile ipotizzarlo vista la forza dei numeri dell’etnia cinese in queste due regioni.
La Lombardia e il Milanese sono territori sensibili e inoltre a Roma e nel Lazio si trova la maggior parte delle società sequestrate. Non dimentichiamo che due indagati stavano a Parigi e che i sequestri hanno toccato anche Spagna e Germania. Si trattava di una vera e propria ramificazione mafiosa internazionale.