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 2018  gennaio 25 Giovedì calendario

La mafia cinese fa il salto di qualità e diventa adulta

Il salto di qualità c’è e si vede. Da anni. Solo che l’orologio di Stato ha tempi e fusi orari talvolta incompatibili con le lancette della società e dell’economia e da poco comincia ad allinearsi a quelli della mafia cinese, sempre più forte nel riciclaggio in attività apparentemente lecite. Sia in Italia che all’estero.
Non sono le triadi dei film di azione. Quella è finzione cinematografica. Questa è realtà. Le associazioni criminali cinesi in Italia replicano il modello primitivo della ’ndrangheta: si costituiscono su base familiare o plurifamiliare, fondandosi sul concetto di guanxi, cioè sul senso di appartenenza a un gruppo che, oltre e indipendentemente dai legami di sangue, esprime l’idea della famiglia economica allargata che ruota intorno a interessi comuni: la gestione di un ristorante, di un magazzino di stoccaggio, di una sala giochi legale o clandestina, di una società di trasporti o di qualsiasi altra attività che crei profitti, leciti o illeciti.
Da Prato con furore
L’operazione della Squadra mobile della Polizia di Prato, agli ordini di Francesco Nannucci, la scorsa settimana ha testimoniato plasticamente il salto di qualità. L’accusa per l’associazione guidata da Zhang Naizhong – con un azzardo definito il “capo dei capi” ma che da una belva come Totò Riina, se reggerà l’accusa in Tribunale, non avrà più nulla da imparare – è di essere una realtà mafiosa. Né più né meno. Per attuare il proprio progetto criminale si avvaleva della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà nella comunità cinese.
Prato era il punto di partenza e ritorno ma la prateria nella quale effettuare estorsioni, usura, abusivo esercizio del credito, gioco d’azzardo, traffico di droga, trasporti, logistica non aveva confini. Le radici arrivavano a Roma, Padova e Catania ma anche in Campania e Lombardia.
Le ramificazioni a livello continentale toccavano Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Grecia.
Controllavano il proprio territorio – ed ecco un altro tratto distintivo delle mafie – facendo ricorso alla violenza, al pizzo, ai picchetti e fuori casa andava pure peggio. Nel 2007 a Neuss, città tedesca della Renania Settentrionale-Vestfalia, posta sulla riva occidentale del Reno, di fronte a Düsseldorf, secondo la denuncia di un imprenditore cinese, un commando di suoi connazionali ha aperto il fuoco con una mitraglietta contro due dipendenti della sua società di trasporti, concorrente sulle rotte del commercio italo-tedesco. E non è stata quella l’unica sparatoria di avvertimento.
Il braccio violento
In Italia – ma l’analisi è replicabile ovunque nel mondo – il braccio violento delle associazioni criminali cinesi è composto da giovani di uno stesso nucleo familiare, capaci di esercitare un capillare controllo soprattutto nei confronti dei membri della comunità etnica di appartenenza.
Questo schema si replica soprattutto a Torino, Milano, Brescia, Roma, Prato e Napoli e così la mafia cinese controlla e gestisce locali pubblici, utilizzati soprattutto per gioco d’azzardo, spaccio di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, usura verso i connazionali, rapine ed estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti connazionali. Nella relazione 2017 della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dna) si legge a chiare lettere che «il carattere cruento di alcuni episodi e fatti di sangue che hanno visto il coinvolgimento di cittadini cinesi, unito all’efferatezza delle modalità esecutive, tende a far propendere per la loro potenziale ascrivibilità anche a contesti di criminalità organizzata».
Business a tutto tondo
Contraffazione di modelli industriali e marchi e contrabbando rappresentano il cuore degli affari della mafia cinese, dedita sia alla produzione in laboratorio che al commercio di articoli prodotti in Cina ed importati in Italia. Attraverso l’abbattimento dei costi di produzione e l’utilizzo di manodopera di connazionali clandestini, riesce a porsi sul mercato in condizione concorrenza sleale rispetto alle imprese italiane.
Il 5% di tutte le merci importate in Europa è contraffatta. Circa la provenienza della merce, l’Ocse ha individuato (dati riferiti al 2013) nella Cina il Paese di prevalenza assoluta.
In Italia le merci contraffatte giungono essenzialmente da Cina e Hong Kong, seguita dalla Grecia, dove il porto del Pireo, controllato da società cinesi e alla luce delle lacune dell’azione di contrasto doganale e di polizia, costituisce una grande porta d’accesso delle merci illegali in Europa. Seguono Singapore, Thailandia, Turchia, Marocco, Germania, Tunisia, Emirati Arabi Uniti e Senegal. La dimensione globale del fenomeno è certificata anche dall’Organizzazione mondiale del commercio che stima che i beni contraffatti rappresentino ormai tra il 5 e il 7% del commercio mondiale, per un valore di circa 600 miliardi di dollari all’anno.
Il rapporto Censis di giugno 2016 ha valutato che il fatturato della contraffazione in Italia – nel quale prevale appunto il ruolo dei traffici cinesi – nel 2015 ammontasse a 6,9 miliardi, con una perdita di gettito fiscale stimata in 5,7 miliardi (di cui 1,7 miliardi per la produzione diretta e 4 miliardi per la perdita di gettito sulla produzione indotta in altri settori connessi) e oltre 100mila posti di lavoro sottratti all’occupazione legale. L’immissione sul mercato di un volume di merci legali equivalente al valore di quelle contraffatte determinerebbe un incremento della produzione interna di 18,6 miliardi (lo 0,6% del totale), recando un incremento di valore aggiunto per l’Italia di 6,7 miliardi.
Nel nome degli affari
Il 2 agosto 2017 la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo ha presentato la relazione conclusiva sui rapporti tra criminalità organizzata e contraffazione.
Nel capitolo dedicato alla criminalità cinese si legge che le zone più interessate sono la Campania (abbigliamento, componentistica, beni di largo consumo), Toscana, Lazio e Marche (pelletteria), Nord-Ovest e Nord-Est (componentistica ed orologeria).
Visto che in Italia c’è spazio per tutti, i cinesi sono pronti a collaborare con le associazioni di stampo mafioso e camorristico, con le quali sviluppano sinergie, a partire dal traffico degli stupefacenti per giungere a vere e proprie “joint venture” criminali per la distribuzione e la vendita dei beni. Con tali accordi eludono i controlli doganali nazionali, alterano l’origine dei prodotti attraverso transiti in Paesi terzi o sdoganano la merce in altri Paesi Eu, con la successiva introduzione in regime di transito comunitario. Oltre ai rapporti di collaborazione con le organizzazioni di stampo mafioso nazionali – è ancora la relazione della Dna del 2017 – le mafie cinesi hanno rapporti anche con alcune organizzazioni africane alle quali affidano, in taluni casi. la distribuzione al dettaglio.
.Guardie o ladri
roberto.galullo.blog.ilsole24ore.com