Libero, 23 gennaio 2018
Ballerini, ciclisti, comici. Umanizzare gli animali non va più tollerato
Anche nelle società cosiddette civili è considerato del tutto normale vedere animali imprigionati o ammaestrati che compiono buffi esercizi paraumani, incompatibili con la loro morfologia ma visti soltanto dal lato comico; puro intrattenimento e null’altro. Il circo, equestre di nome ma pressoché mai di fatto, rappresenta da sempre un innocuo svago per famiglie, non tanto per animali di solito difficili a vedersi ma soprattutto per le relative performance che nascondono nel retrobottega maltrattamenti e torture senza le quali (e al di là delle chiacchere degli addetti ai lavori) si comporterebbero in modo ben diverso. Pertanto in queste moine che vorrebbero (è proprio il caso di dire) scimmiottare l’uomo, non è riscontrabile alcuna valenza psicologica o pedagogica formativa e positiva, anzi è l’esatto contrario. L’osservazione delle bestie nel loro habitat naturale, magari delimitato però ampio e idoneo, forse meno libero rispetto a savane e foreste ma con la sicurezza del cibo e dell’incolumità, dovrebbe essere l’unica promozione culturale in tal senso, l’unica opzione accettabile per queste ormai quasi inevitabili clausure.
L’animale è goffo nelle azioni umane (quanto l’uomo in quelle animali) e il divertimento viene stabilito nella rincorsa all’innaturale, anche se non dovrebbe essere molto divertente vedere un grande obeso obbligato a una corsa a ostacoli o un fantino misurarsi con un lottatore di sumo. Sembra tutto ovvio ma ciò che inquieta è che non lo è affatto. Si può ridere della goffaggine di chi esegue azioni in contrasto con le sue caratteristiche psicofisiche se questi lo fa volontariamente, per fare spettacolo, sconfinando magari nel surreale.
I discorsi sulle inevitabili sofferenze del mondo si sprecano da sempre ma la cattività e il maltrattamento gratuiti di tutti gli animali sono il simbolo di ogni ingiusto potere dell’uomo, esercitato peraltro anche nei confronti dei suoi simili, e la differenza fra le citate imposizioni non è così abissale come si vorrebbe far credere. Disporre della sofferenza di qualunque essere vivente senza limiti normativi e legali non significa altro, anche o soprattutto negli spettacoli (corride, circhi, zoo, perimetri insufficienti), che abituare il cucciolo dell’uomo, privo di una sufficiente capacità critica, a considerare appunto “normale” questo effimero e crudele potere, vidimato dall’approvazione generale nonché dall’indifferenza istituzionale. Un qualsiasi volatile in una gabbietta, un felino in pochi metri quadri, una creatura del mare senza spazio per muoversi dovrebbero contemplare, perlomeno nei Paesi più avanzati, un reato penale, ma siamo purtroppo nella fantagiurisprudenza. Elefanti ballerini e orsi ciclisti sono soltanto la punta dell’iceberg; occorre guardare ben oltre l’inusuale spettacolarità destinata a coinvolgere ogni “candido” spettatore. Il danno (psicologico) comunque è già stato fatto ma si continua imperterriti su questa strada, contribuendo così all’assuefazione alla prepotenza e all’apologia di crudeltà e violenze fini a se stesse. Esempi anche recenti (vedi le baby gang) ne sono una dimostrazione. Esasperando le proteste si sconfina però negli sterili estremismi, dalle assurde mode alimentari alla difesa a oltranza di ogni forma di vita contro le più oggettive necessità. Fanatismo e umanizzazione riguardanti gli animali non servono dunque in questa grande (e appena iniziata) battaglia della ragione, fanno solo il gioco di chi non vuole cambiare nulla, per superficialità come per interesse personale. D’altra parte per ogni imbecille il proprio cane è il più intelligente di tutti gli altri, come d’altronde lo è egli stesso.
*Psicoterapeuta-analista Sessuologo, Criminologo