il Giornale, 24 gennaio 2018
Viaggio ai confini del freddo. Moro e la sfida ai 70 sotto zero
Chi non ha giocato a Risiko la Jacuzia probabilmente non l’ha mai neanche sentita nominare. Così come non avrà mai sentito parlare del Pik Pobeda, o Gora Pobeda, una montagna di 3mila metri in Siberia, in pieno circolo polare artico sulla catena dei Monti Cerskij. Una vetta da tremila metri per un alpinista come Simone Moro che è già salito su otto dei quattordici «ottomila» in giro per il mondo e che detiene il record del maggior numero di ascensioni invernali sugli ottomila con le scalate del Shisha Pangma nel 2005, del Makalu nel 2009, del Gasherbrum II nel 2011 e e del Nanga Parbat nel 2016, potrebbe sembrare un passeggiata. Potrebbe. Se non fosse che il Pik Pobeda è il posto più freddo della Terra dove, quando la stagione è buona, le temperature sono stabili sotto i 40 gradi e dove in questo periodo si arriva a meno settanta. Un freddo che gela l’anima. E così la nuova sfida diventa un viaggio ai confini del freddo. Un lungo viaggio nel gelo siberiano che oltre all’alpinista bergamasco vede in squadra, Tamara Lunger alpinista altoatesina già al fianco di Moro in altre spedizioni, il fotografo Matteo Zanga fotografo e Filippo Valoti Alebardi reporter italo-russo di padre bergamasco che farà da traduttore.
Una spedizione che porterà il team italiano dove nessuno è mai arrivato nella stagione invernale. Tre voli: da Orio al Serio a Mosca, a Jakutsk e a Ust Nera. «E poi 300 chilometri non sulle strade ma su fiumi ghiacciati con un furgone Uaz, di quelli che non si possono spegnere mai- ha raccontato l’alpinista bergamasco ai microfoni di Deejay training center – perché a quelle latitudini le auto non le spengono altrimenti non ripartono più...». Trecento chilometri fino a Sasyr, ultimo paese prima del nulla. Da qui un altro giorno di motoslitta fino al villaggio di una tribù nomade che vive in quelle zone da secoli e che è stata capace di adattarsi, non si sa come, al gelo e poi con le renne e con gli sci gli ultimi otto chilometri fino ai piedi della montagna. Qui comincerà la parte più difficile. La scalata ai confini di un mondo ghiacciato che nessuno ha mai osato sfidare: «E il problema ovviamente sarà il freddo – spiega Moro – Nei giorni scorsi in paese c’erano 68 gradi sotto zero, non oso immaginare che temperature troveremo in vetta soprattutto se ci sarà vento. I problemi sono tanti a cominciare dalle attrezzature tecniche. Basti pensare, tanto per fare un esempio, che la batteria di una telecamera che normalmente dura un’ora con quelle temperature si esaurisce dopo 40 secondi». Ma il problema più serio sarà quello delle lunghe notti, considerando che la spedizione troverà durante le giornate solo 5 ore di luce e ben 19 di buio: «Non potremo neppure prendere in considerazione l’ipotesi di dormire in tenda che ci può proteggere solo fino a 40 gradi sottozero- spiega Moro – Dovremo di volta in volta scavare dei buchi nella neve per poi montare la tenda all’interno. Sperando ovviamente di trovare la neve perché con quel freddo non è detto che ci sia...». La sfida sarebbe un primato assoluto perché a scalare d’inverno in Pik Pobeda fino ad oggi non c’è mai riuscito nessuno e i due alpinisti austriaci che ci avevano provato qualche anno fa hanno alzato bandiera bianca ancor prima di cominciare la salita e sono tornati indietro.
«Difficoltà nella difficoltà sarà anche quella del cibo – spiega Moro Ci porteremo carne di renna, pesce affumicato e latte ghiacciato che ci daranno i nomadi prima di lasciare il loro villaggio e tutta una serie di nuovi integratori con combinazioni di flavanoli di cacao e omega 3 capaci di aumentare il flusso sanguigno a livello periferico. Che in queste condizioni climatiche dove il rischio congelamento è elevato è una delle cose più importanti. Faremo da tester per l’Equipe Enervit perché qua la performance sarà molto più veloce rispetto ai tre mesi o alla settimana di scalata. Qui dovremo essere veloci, avremo 5-6 ore di luce e non dovremo rimanere fuori di notte». Tre voli, un furgone, una motoslitta, le renne e poi si comincia. «Cosa mi aspetto? Sono curioso di vedere il cielo che c’è da quelle parti...».