il Giornale, 24 gennaio 2018
Da Panama alla Sud Corea. L’Europa fa retromarcia e dimezza i paradisi fiscali
Otto in meno. È ciò che hanno deciso i ministri delle Finanze dell’Unione Europea che hanno cassato otto paesi dalla cosiddetta «lista nera» dei paradisi fiscali. Si tratta di una black list creata trenta giorni fa e composta da 17 paesi caratterizzati da una legislazione incline a sfuggire ai controlli del fisco europeo. Società, aziende e cittadini avevano quindi più possibili vie di fuga rispetto alle lente di ingrandimento dell’erario. Su quella lista però si erano concentrati alcuni rilievi di merito, come quello sul fatto che a dover avviare le azioni punitive dovevano essere i singoli stati, o come l’assenza di paradisi fiscali noti come quelli dell’arcipelago caraibico.
Ma quali sono gli stati eliminati? Panama, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Tunisia, Mongolia, Macao, Grenada e Barbados. La motivazione parla di impegni assunti ad alto livello politico per porre rimedio alle storture del sistema. «I paesi sulla lista nera devono essere sanzionati», ha commentato il commissario francese Pierre Moscovici facendo riferimento alla nuova proposta della Commissione su sanzioni a livello Ue. L’obiettivo è individuare quei flussi di denaro che dal bilancio comunitario o dalla Bei (Banca europea degli investimenti) o Berd (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) non finiscano poi per transitare fino ai conti di quei paesi che sono sulla lista nera. E ha chiesto ai governi di pubblicare gli impegni assunti dai paesi che sono usciti dalla lista nera per entrare nella lista grigia dei paradisi fiscali, in modo che possano essere «verificati e controllati» dai media e dall’opinione pubblica, passaggio su cui pero’ non poche obiezioni sono state sollevate. Come quelle del bulgaro Goranov (che ha la presidenza di turno dell’Ecofin) secondo cui non sarà possibile pubblicare automaticamente le lettere inviate dalle varie giurisdizioni.
E a parziale retromarcia ha comunque assicurato che «il Consiglio controllerà molto da vicino gli impegni assunti» dai paesi che sono stati inseriti sulla lista grigia.
In Italia ad attirare l’attenzione della magistratura e della Banca d’Italia è stata l’Umbria, dove sono state tracciate quasi 1.800 operazioni di riciclaggio con potenziali fini terroristici. Gli anni osservati sono il 2015 e il 2016, decisivi proprio per via dei sommovimenti in tutta Europa legati all’Isis e ai suoi foraggiatori. Numeri che dimostrano un’impennata del 18% che corrisponde all’1% del dato nazionale. L’organo di controllo della Banca d’Italia preposto ai focus su irregolarità simili ha scoperto un giro di scambi di capitali con i cosiddetti «paradisi fiscali» con una media di un milione di euro al giorno in uscita (o in entrata) dai conti correnti umbri. E per un totale di quasi 400 milioni di euro.
Più a nord dell’Umbria e precisamente dal Principato di Monaco (appena uscito dalla black list) ecco l’annuncio di una guerra senza scrupoli al riciclaggio nonostante nessuno sia in grado di sfilargli la patente di stato con il maggior numero in assoluto di residenti multimilionari, con nel 2017 il 50% di indagini fiscali in più rispetto ai dodici mesi prima. Per l’esattezza 118 sono state le operazioni bancarie scansionate.
Resta il macrodato generale, relativo al quel 30% degli investimenti diretti all’interno dell’Ue che vi giungono da paradisi offshore: ovvero 1.838 miliardi di euro di capitali che controllano aziende europee ma sulla cui provenienza poco si conosce. Se non un anonimo nome su un citofono.