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 2018  gennaio 24 Mercoledì calendario

Elio e le Storie tese: «È finita davvero. Non vogliamo fare come gli Stones»

MILANO Fossati e Guccini si sono ritirati a sorpresa e subito. L’addio di Elio e le Storie Tese invece è infinito. Il 18 dicembre, vigilia del concerto di teorico commiato ad Assago, hanno annunciato: Sanremo (con Arrivedorci), un disco (live con due inediti, stesso titolo, in pre-order da oggi) e un tour che il 23 aprile torna al Forum e a maggio toccherà anche Arena di Verona (1), Firenze (5), Genova (8), Roma (12), Napoli (14). Ora la band che ha (re)inventato il rock demenziale – ma non demente, anzi – dice che mollerà il 30 giugno. La vox populi (e social) mormora di San Siro, entro allora.
Elio, Cesareo e Faso, nucleo storico della band, il dubbio è sempre: lo scioglimento è vero?
Sanremo sa tanto di pubblicità.
Elio: «Giuriamo, lasciamo. È che è abbiamo sempre preso le cose come venivano, senza programmarci.
Adesso ci è venuto di scioglierci. Ma tutti i gruppi mollano, prima o poi».
Qui com’è andata?
Faso: «Come quelle coppie dove butti lì l’idea di lasciarsi, ma come battuta. Fai una risata e continui.
Poi la cosa torna come battuta, e ancora, e ancora, e diventa una gag, finché ci si rende conto che in realtà è quel che vogliono tutti».
Ma perché?
E: «Una carriera eccezionale andava chiusa in modo eccezionale».
Cesareo: «Stiamo invecchiando, e i Rolling Stones erano meglio a 30 anni che ora. Tom Jones ce n’è uno, McCartney anche. Meglio così».
Scricchiolavate dall’addio ai live di Rocco Tanica nel 2013.
F: «Rocco è saldamente nella band e contrarissimo allo scioglimento.
A un certo punto non ha più retto il panico da concerto, tutto qui».
C: «Il circo discutibile, l’altro inedito di Arrivedorci, è tutto suo».
E: «Purtroppo il primo vero addio è stato Feiez, il nostro sassofonista, morto sul palco vent’anni fa».
“Arrivedorci” è un brano molto diverso dagli altri che avete portato al festival.
Più sanremese, per paradosso.
C: «Gli altri erano esperimenti scientifici: i ritornelli messi assieme di Vincere l’odio, le frasi fatte della Terra dei cachi, la Canzone mononota. Questo è un pezzo classico, spiazzerà, è melodico, va ascoltato più volte. Un po’ fa ridere, con quel saluto alla Stanlio e Ollio, un po’ piangere».
F: «Spiazza perché è nostro: fosse di Enzo Pirulazzi, per dire, sarebbe ascoltato in modo assai diverso».
Cose memorabili a Sanremo?
C: «Il debutto del 1996: il braccio finto, il costume da Rockets, la canzone accelerata in un minuto».
F: «Nel 2013 continuavano a chiamarci per darci premi: ogni volta tornavamo sul palco truccati da obesi, sempre più obesi. Rivisto in tv, ho pianto dal ridere».
E: «Nel 2008, l’ultima sera ci vestimmo da Rondò Veneziano, però morti, e cantammo Largo al Factotum, tenendo molto lunga la -a di Figaro. Fantastico».
Perché non finire all’Ariston?
E: «Perché ad Assago non c’era tutta la gente che avrebbe voluto esserci.
Gireremo l’Italia per salutare tutti.
Il sogno milanese sarebbe Parco Lambro, sede di epici concerti anni Settanta. E farlo nudi, come allora.
Certo, San Siro chiuderebbe il cerchio: proprio in quel quartiere nel luglio 1980 fu il nostro primo concerto, al Caf Cisl di via Mar Jonio. Ai tempi eravamo solo io, Cortellino e Zuffellato. Suonammo un pezzo punk in modo aberrante, e qualcuno disse “questi sono bravi”. Pubblico, solo le nonne che portavano i nipotini al parco».
Da allora, i momenti migliori, o i peggiori?
E: «Ti amo cantato per 12 ore di fila all’Elfo nel 1990. Da Guinness».
F: «La partecipazione come colonna sonora in diretta al film di Rocco Siffredi Rocco e le storie tese.
E leggere ancora sui giornali le frasi della Terra dei cachi».
C: «O forse proprio Sanremo, anche se gran parte dei fan la prese come una normalizzazione».
Tutti concordano sul vostro talento musicale. Non siete stati anche troppo bravi per l’Italia?
F: «Probabilmente sì. Abbiamo fatto scelte lontane dalle radio. Prima perché le canzoni erano zeppe di parolacce, poi le radio sono andate verso la banalizzazione».
Potreste nascere adesso?
C: «Nella Milano anni Ottanta c’erano 10 localini dove suonare e il titolare voleva una cassetta per ascoltare le tue canzoni prima di ingaggiarti. Ora le giovani band le ingaggiano solo se fanno cover».