la Repubblica, 24 gennaio 2018
«I miei bestseller nati dai verbali di polizia». intervista a Clare Mackintosh
LONDRA La prossima volta che prendete un metrò, un bus o un treno di pendolari, fate attenzione a chi avete intorno: tra i volti anonimi dei passeggeri potrebbe esserci qualcuno che vi studia scientificamente e vi conosce molto bene. È la premessa di So tutto di te (DeA Planeta), secondo romanzo di Clare Mackintosh, ex poliziotta diventata l’autrice di gialli del momento in Inghilterra, in testa alla classifica del Sunday Times, con milioni di copie vendute in mezzo mondo. La storia di una come lei: madre divorziata quarantenne, con due figli a carico, che di colpo teme di essere il prossimo bersaglio di un serial killer. Ma chi è che la spia per sapere tutto di lei? Il nuovo compagno con cui bisticcia?
L’ex-marito possessivo?
Il capoufficio che la infastidisce? Il vicino di casa impiccione? Il boyfriend di sua figlia? Dopo La ragazza del treno, bestseller mondiale di qualche anno fa, è il turno di una “donna del metrò”: un universo «claustrofobico, compresso, apparentemente innocuo, ma sempre sul punto di esplodere», come lo definisce la scrittrice.
Ha lasciato la polizia perché non le piaceva come mestiere?
«No, mi è piaciuto molto nei dodici anni in cui l’ho fatto.
Ma nel frattempo ho avuto due figli e mi sono accorta che non passavo abbastanza tempo con loro. Il mestiere di poliziotto esige orari lunghi e imprevedibili.
Perciò ho smesso».
E come ha deciso di fare la scrittrice?
«All’inizio ho scritto per giornali, riviste, aziende. Scrivere mi è sempre piaciuto e si è rivelato un modo per lavorare da casa restando vicina ai figli. Poi ho cominciato un blog sulla vita da mamma e per la prima volta ho ricevuto un sacco di reazioni positive da sconosciuti. Così poco per volta è nata la tentazione di provare a scrivere un romanzo».
Anche nella polizia doveva scrivere?
«Non lavoravo all’ufficio stampa. Ma ho scritto un sacco di verbali».
Un buon allenamento per uno scrittore!
«Sembra buffo, invece è stata davvero una buona scuola. Un verbale deve riflettere la realtà con esattezza, raccontare sinteticamente una storia, dare a ciascun elemento il suo peso.
Senza saperlo, mi allenavo per il mestiere successivo».
Da dove nasce l’idea di “So tutto di te”?
«Io vivo sulle montagne del Galles, vengo di rado a Londra.
Un giorno ho fatto visita a un’amica nella capitale, abbiamo preso insieme il metrò e lei ha insistito per aspettare il treno in un punto preciso della piattaforma, riconoscibile da una mattonella rotta, perché sapeva che le porte si sarebbero aperte lì e di solito in quella carrozza c’è posto a sedere. Un gesto abitudinario, che le dava sicurezza».
E non è forse così?
«Sì, ma avere ogni giorno le stesse abitudini ti espone anche a un pericolo. Se qualcuno ti osserva, potrà sempre prevedere cosa fai, dove vai, come ti comporti. Pensi di essere più sicuro ma sei anche più vulnerabile. L’idea del romanzo viene da lì».
Ha letto “La ragazza del treno”, il bestseller di Paula Hawkins?
«Sì e il mio libro ha tre cose in comune con il suo: si svolge a Londra, ha per protagonista una donna e c’entrano i treni. Ma nel caso di Paula tutto avviene all’esterno del treno, è importante quello che lei vede fuori. La mia è una storia molto più interna al treno, claustrofobica: è la protagonista ad essere vista».
La metropolitana le fa paura?
«Mi farebbe orrore doverla prendere tutte le mattine, stretta fra la folla, sempre alla stessa ora, circondata dalle stesse facce. È un universo compresso, apparentemente tranquillo, ma ci vuole poco a farlo esplodere. Come è successo negli attentati sul metrò di Londra. E come può fare un maniaco».
Ci sono sempre più thriller scritti da donne su donne: è soltanto un caso?
«In realtà ce ne sono sempre stati, penso a Rebecca di Daphne du Maurier, uno dei miei romanzi preferiti, naturalmente ad Agatha Christie, a P.D. James e a tante altre autrici.
Oggi forse ce ne accorgiamo di più perché c’è più attenzione per quello che fanno le donne. E le donne, per loro natura, oltre a chiedersi chi fa cosa, sono attratte dal come e dal perché: curiosità molto utili per un noir».
C’è qualcosa di lei nella donna in metrò della sua vicenda?
«Sicuramente, ma mi riconosco di più in un altro personaggio, la poliziotta chiamata a indagare. Credo che la farò riapparire in altri libri».
Pensa di essere stata una brava poliziotta?
«Penso di sì. Ero determinata a fare giustizia. Prendevo molto seriamente il mio lavoro».
Immaginava, mentre lo faceva, che sarebbe diventata una scrittrice di successo?
«Neanche per sogno. Quando ho scritto il romanzo precedente a questo, quello del mio esordio, ho chiesto al mio agente quante copie doveva vendere perché fosse considerato un successo.
Per un romanzo di un esordiente, mi ha risposto, l’editore sarebbe molto contento se arrivasse a 10 mila copie. Dopo sei mesi il mio ne aveva vendute mezzo milione, ora sono un milione ed è stato tradotto in 35 lingue!».