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 2018  gennaio 24 Mercoledì calendario

Così palestra e asilo nido finiscono in busta paga

L’azienda che semplifica la vita offre ai suoi dipendenti la palestra o l’abbonamento per lo stadio, la baby sitter o la consulenza per scrivere i curricula dei figli, il “maggiordomo” che sbriga le faccende noiose come pagare le bollette oppure il viaggio organizzato in Asia. Il welfare aziendale si espande e il portafogli delle società intermediarie tra datori e dipendenti diventa sempre più ampio e vario. Poi non è detto che a qualcuno piaccia l’idea del giro sulla Porsche oppure quella del volo in mongolfiera. Anzi, risulta che non vengano quasi mai scelti. Del resto di fronte alle tante innovazioni – dalla palestra in ufficio ai centri estivi per i figli, alle sedute di “coaching – la maggior parte dei lavoratori continua a preferire una aiuto per l’assistenza sanitaria e la buon vecchia mensa.
Il Censis e una delle aziende del settore, Eudaimon, presentano oggi il primo rapporto sul welfare aziendale, uno strumento che esiste da decenni ma è stato rilanciato e si è diffuso rapidamente dopo che nel 2015 il Governo ha deciso di detassare il premio di produttività, permettendo ai lavoratori di sostituirlo con una serie di benefit totalmente esenti. Oggi sono migliaia i contratti che lo prevedono e si stima che interessi 3 milioni di dipendenti.
Ebbene, il nuovo welfare piace soprattutto a chi ha gli stipendi più alti e inoltre, come si diceva, i lavoratori italiani sono ancora piuttosto tradizionalisti. Per circa il 54% di quelli sentiti dal Censis che possono accedere a questi benefit, il servizio più utile è l’assicurazione contro le malattie, la non autosufficienza e gli infortuni. Seguono la previdenza complementare (33%), la mensa e i buoni pasto (24%). Al quinto posto ci sono le convenzioni per acquistare a prezzi convenienti nei negozi (21%), al sesto l’asilo nido, il campus estivo per i figli, i rimborsi delle loro spese scolastiche (20%). All’ottavo e al nono, babysitter o badante e palestra oppure spazi benessere in azienda. «Non possiamo non vedere le defaillance del welfare pubblico, ad esempio con le liste di attesa per certe attività sanitarie – dice Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis – Anche per questo i lavoratori posizionano in cima alla lista quelle prestazioni.
Questo non vuol dire mettere in discussione la sanità pubblica ma fornire un nuovo pilastro, appunto aziendale, per sostenerla». Sempre secondo la ricerca, circa il 76,4% degli intervistati conosce il welfare aziendale (ma il 58.5% lo fa “a grandi linee”) e comunque lo strumento è gradito (sono favorevoli il 58,7% dei lavoratori e contrari il 23,5%). Ad apprezzarlo di più sono i dirigenti e i quadri, oppure le famiglie con bambini piccoli. I contrari allo strumento sono più i lavoratori a redditi bassi (46,9%). Il 41% di operai e lavoratori manuali preferiscono più soldi in busta paga alle soluzioni di welfare. «Le aziende – dice ancora Valerii – non devono solo pensare ai vantaggi fiscali e offrire questi benefit come un surrogato degli aumenti delle retribuzioni. Lo strumento deve servire a vivere l’azienda come una comunità operosa ma anche solidale».
Sono welfare ma svincolato dal premio di produttività le soluzioni organizzative, come i congedi da 4 mesi sia per padri che madri (di Ikea) o la possibilità di lavorare da casa un giorno alla settimana (Ferrero). Anche questi sono strumenti che migliorano la qualità della vita, e sono molto apprezzati. Più nuove le soluzioni come il maggiordomo che paga le bollette, proposto da Luxottica, o i centri estivi e i libri di studio per i figli di Fca. Emanuele Massagli è presidente di Aiwa, l’associazione italiana welfare aziendale che raccoglie le imprese che hanno in mano l’80% del mercato. «La domanda sta crescendo tantissimo – dice – Non è solo merito delle nuove norme, il fatto è che è in atto un cambiamento nella natura del rapporto di lavoro. Al lavoratore si chiede sempre meno di stare seduto 8 ore in cambio di un salario ma si offrono lavori parasubordinati, a obiettivi. In cambio il dipendente oltre alla retribuzione chiede servizi».