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 2018  gennaio 24 Mercoledì calendario

Truffe e lavoro nero, così i criminali sfruttano i Bitcoin

Metà gennaio 2018: la Finanza di Ponte Chiasso ferma al confine con la Svizzera un autoarticolato. A bordo, c’erano quattro quintali tra hashish e marijuana, l’autista spagnolo, che nascondeva nella cabina oltre 100 mila euro, viene arrestato con tre italiani tra cui il proprietario dello stabile che avrebbe ospitato e stoccato la droga destinata a Svizzera e Italia. Si scopre che i tre italiani contavano di regolare le operazioni di pagamento della droga attraverso i bitcoin. È il lato criminale della criptomoneta: droga, armi e riciclaggio di denaro. Giuseppe Corasaniti, sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione ed esperto di diritto informatico, spiega: “Le transazioni sicure con la criptomoneta lasciano meno tracce dei contanti e ci sono tanti soggetti, dalla criminalità organizzata a quella terroristica, interessati ai sistemi che sfuggono al controllo”.
I ricatti informatici e il riciclaggio
A Latina, a inizio 2017, arrivano al Nucleo valutario della Finanza 18 segnalazioni di operazioni sospette su decine di carte prepagate intestate a casalinghe, operai e disoccupati. Su 40 Postepay, in meno di un anno transitano cifre a quattro zeri: 22 mila euro una volta, 135 mila un’altra, poi 24 mila, 88 mila, 98 mila, 80 mila, 15 mila. I soldi finiscono prima su un conto intestato a un uomo, poi transitano su Kraken, una delle piattaforme per il trading di bitcoin. Tra 2015 e 2017 vengono movimentati 1,2 milioni di euro. Succede a Frosinone: qui vivono un esperto informatico di 40 anni e il suo socio di 37 anni. Da casa, il primo crea e diffonde, tramite email infette, il virus che rende inaccessibili i dati del computer (cryptolocker) e chiede un riscatto in bitcoin. L’altro trova intermediari e prestanome (ben 17): a loro vengono intestate le Postepay su cui vengono effettuati i versamenti quando le vittime non hanno a disposizione le criptomonete. Gestiscono anche un sito, posteb.it, su cui si acquistano bitcoin e usano Kraken per convertire gli introiti delle loro truffe, come fosse una banca: “Ci bastano (i contanti, ndr) per pagare il commercialista e il notaio?”, chiede l’informatico al socio il 4 aprile 2017. “Fammi vedere il conto ma penso di sì. Sennò fa’ una cosa, vendi due/tre bitcoin e fa’ un giro di bonifico su Kraken”. Intanto arrivano centinaia di denunce: Grosseto, Carpi, Como, Firenze, Sondrio, Genova, Latina. Un virus che viaggia tramite un allegato infetto (anche una finta bolletta Enel), blocca decine di computer. Il riscatto per sbloccare il pc è di 1,51 bitcoin, all’epoca circa 400 euro (oggi oltre 10 mila).
Il punto debole: il mondo reale
A marzo 2017, uno dei due soci è preoccupato: un prestanome ha fatto il suo nome alla Finanza. Quando gli è stato chiesto di giustificare 40 mila euro di movimenti su una Postepay intestata a lui, il 27enne disoccupato ha confessato che la carta l’aveva un altro. “Ha sbagliato – dice uno dei soci a un sottoposto – risolviamo tutto… lo paghiamo… se ci sta una cosa mettiamo il nostro avvocato… e lui viene pagato, ma lui deve ritirare quella denuncia perché… domani mattina… la Finanza viene a casa mia ad arrestarmi per rubare i soldi… che so’ i miei… lui deve dire: ho dato la gestione della carta per fare acquisti online”. Il giorno dopo, anche sotto minacce fisiche di un altro ‘reclutatore’ (che ha problemi di droga e chiede continuamente soldi per il suo “servizio”), il 27 enne telefona al socio: “La denuncia l’ho ritirata. Gli ho detto così: io e mio fratello abbiamo un amico in comune che sono anni che ci fidiamo ciecamente di lui e mio fratello si è dimenticato di dirmelo che l’ha data a questo qua e lui che siccome lavora con un sito e gli fa fare i soldi compra i bitcoin”. I due, per giustificare le cifre, sostengono infatti di operare con i bitcoin tramite posteb.it. Cercano anche di dare parvenza legale alle loro entrate costituendo una società che operi in bitcoin. “Ci dobbiamo sbrigare a prendere questo ufficio”, dice a un certo punto l’informatico. “Per me questi (la Finanza) arrivano qua tra poco”, replica l’altro. “E appunto. Se abbiamo la società è un’altra cosa, no?”. Spiegano dal Valutario della Finanza: “Il momento di debolezza del sistema bitcoin è quando viene in contatto col mondo reale, quando si compra o si vende, in ogni parte del mondo”. Come in Spagna: nella verifica delle segnalazioni sospette legate al sito, le forze dell’ordine si imbattono in un altro soggetto che usa la piattaforma per cambiare i bitcoin in denaro. Scoprono che è un latitante italiano con due anni da scontare, condannato per spaccio. “Sul sito – spiegano i finanzieri – cambiava i suoi bitcoin, tra 800 e mille euro alla volta, e se li faceva accreditare sulla Postepay con cui poi prelevava allo sportello”. Quando lo catturano, l’uomo racconta di lavorare come cameriere in un ristorante spagnolo, pagato in bitcoin per nascondere la sua identità. E per nascondere il nero.
Il tassello mancante
L’Italia, rispetto al resto d’Europa, in teoria è all’avanguardia per la lotta al riciclaggio con le criptomonete: a luglio è stata recepita la 4ª direttiva europea antiriciclaggio del 2015. Nel farlo, l’Italia ha anticipato la proposta di inserire fra i soggetti obbligati al rispetto degli obblighi antiriciclaggio anche gli operatori in valute virtuali. Piattaforme ed exchanger sono obbligati a identificare la clientela, a segnalare operazioni sopra i 15 mila euro e ogni volta che si tema riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Gli exchanger entrano poi tra i soggetti che possono essere posti sotto il controllo del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria. Devono poi iscriversi a una sezione dell’Oam (Organismo degli agenti finanziari e mediatori creditizi): “Con decreto del Tesoro – recita la norma -sono stabiliti modi e tempi con cui i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale sono tenuti a comunicare al ministero la propria operatività”. Il decreto è “condizione essenziale” per l’esercizio dell’attività. E dovrebbe stabilire anche le condizioni a cui ministero e polizia possono “interdire l’erogazione dei servizi relativi all’uso di valuta virtuale” da parte di chi non rispetta i criteri. Però ancora non c’è. E il ministero, interpellato, non risponde sul ritardo.