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 2018  gennaio 24 Mercoledì calendario

Un nuovo anonimo nel caso Regeni. «Così fu consegnato ai Servizi di Al Sisi»

Roma Nel fascicolo dell’inchiesta della Procura di Roma sul sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni, c’è un nuovo anonimo. Il terzo da quando questa storia è cominciata. Come l’ultimo, è stato recapitato alla sede della nostra ambasciata in Svizzera, a Berna. E acquisito dalla nostra magistratura, che lo ha condiviso con la Procura generale del Cairo. Si tratta di un documento in lingua araba, firmato da tale colonnello Khaled Faouzi, “Capo dei Servizi informativi Generali”, con un timbro che si vuole della “Direzione sicurezza nazionale dei servizi informativi egiziani”, l’intelligence civile ( la Nsa), pacificamente indicata nell’ultima informativa dello Sco della Polizia e del Ros dei carabinieri come la struttura che mise sotto osservazione Giulio e lo sequestrò la sera del 25 gennaio 2016.
Il documento dà conto di quelli che sarebbero stati gli ultimi giorni di vita di Giulio. Da prigioniero in uno dei buchi neri del Regime. È infatti datato 30 gennaio 2016, vale a dire cinque giorni dopo il sequestro e quattro prima del ritrovamento del suo corpo senza vita lungo la superstrada Cairo- Alessandria ( circostanza anche questa al momento sub iudice poiché la procura di Roma ha molti dubbi sulla ricostruzione offerta dall’autista del Van che ritrovò “casualmente” il cadavere).
Nell’anonimo viene “certificato” il trasferimento dall’Nsa al Servizio segreto militare del “prigioniero” «Giulio Regeni, cittadino italiano, accusato di spionaggio per conto dei servizi informativi esteri britannici e di organizzazione con soggetti terzi ai fini di destabilizzare il Paese, provocare disordini pubblici finalizzati alla caduta del governo egiziano in occasione dei festeggiamenti di popolo per il quinto anniversario della gloriosa rivoluzione del gennaio». L’atto dà conto del numero di fascicolo aperto dall’Nsa (106T/25/2016), l’elenco degli effetti personali trasferiti insieme al “prigioniero” («Busta sigillata con la cera lacca contenente il passaporto italiano dell’accusato, il tesserino di iscrizione dell’American University del Cairo, quello di Cambridge, una carta di credito Mastercard emesso dalla banca italiana Fineco, 28 fotografie dell’accusato insieme ad alcuni cittadini egiziani e stranieri, 3 dei quali insieme al suo amico El Sayed Walid, un cellulare e 2 sim card, un portachiavi in pelle contenente 4 chiavi»), e di altri elementi su Giulio acquisiti durante l’attività di spionaggio a suo carico. Nel dettaglio: «Carte d’indagine e verbali espletati da codesto reparto, dalla direzione investigazioni generali di Giza e dalla Presidenza della Sicurezza Nazionale, per complessive 78 pagine; trascrizione delle riprese del sistema televisivo a circuito chiuso delle telecamere dei quartieri Cairo centro, Giza e Dokki; le telefonate inviate e ricevute dall’accusato e della loro analisi». E ancora: «Report e comunicazioni segrete inviate dal prigioniero a enti esteri sospetti in Gran Bretagna, Austria, Belgio, Germania e Italia pari a 134 pagine». «Report di un nostro collaboratore del 2 gennaio 2016 oltre a diecimila dollari americani di proprietà dell’accusato a noi consegnati dal collaboratore in oggetto. Denaro depositato nella cassaforte del nostro reparto con ricevuta 00594 del 6 gennaio 2016».
Quindi, l’ultimo elemento. «Un certificato medico con protocollo SAA 1315 del 30.1.2016 firmato dal colonnello medico direttore generale dell’ospedale Wadi Al Nil con cui si dà atto del buono stato di salute psicofisica del prigioniero e l’assenza di lesioni, tranne una ferita sanguinante di un centimetro con ematoma sulla fronte dovuta all’urto della testa contro il rubinetto dell’acqua durante il bagno del mezzogiorno di lunedì 29 gennaio 2016”».
A ben vedere – se il documento fosse genuino – un dettaglio di cruciale importanza perché attribuirebbe all’intelligence militare sotto il controllo della presidenza di Al Sisi, la responsabilità dello scempio. La nota si chiude con valutazioni sul “profilo generale della personalità dell’accusato”. Un elenco di manifestazioni emotive e fisiche mostrate durante i primi giorni di prigionia da cui si evince un dettaglio: che Giulio non aveva nulla da dire, perché non lo era, sull’accusa di essere una spia. Mentre insisteva «a rispondere a qualsiasi domanda sui suoi studi, il suo credo politico e religioso, la sua vita privata».
La procura di Roma nel trasferire il documento alla magistratura egiziana ha sottolineato di «non avere elementi di certezza in ordine alla sua genuinità», tanto da chiedere alla Procura del Cairo «valutazioni sul suo contenuto». Circostanza che rende questo ennesimo anonimo non necessariamente carta straccia. Infatti, delle due l’una: o il documento è genuino, e questo segnerebbe un ulteriore, decisivo, passo in avanti nella ricostruzione delle responsabilità nell’omicidio di Giulio. Oppure, e al contrario, è un tentativo – vista anche l’accuratezza con il quale è assemblato – di depistaggio che indicherebbe la chiave dell’omicidio nello scontro di potere tra il ministro dell’Interno Abdel Ghaffar ( Servizi civili) e quello del presidente Al Sisi (Servizi militari) e il cui show down potrebbe essere nelle elezioni egiziane di fine marzo.