il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2018
Tra le aspiranti toghe «Le scuole servono ma Bellomo esagerava»
A Porta a Porta, ieri sera, Francesco Bellomo si è difeso: l’ormai ex consigliere di Stato (è stato destituito nei giorni scorsi) ha parlato di retaggi infantili che lo avrebbero condizionato, del suo approccio ai temi d’amore in modo scientifico, del fatto che le sue idee non siano state comprese. Ha addirittura annunciato che ricorrerà alla Corte europea se il suo ricorso in appello non dovesse essere accolto.
Le sue parole arrivano al termine del primo giorno di esame del concorso pubblico per diventare magistrato. Alla Fiera di Roma, ieri, c’erano quasi seimila aspiranti magistrati: hanno affrontato il primo scritto poche settimane dopo lo scandalo dell’ex consigliere di Stato che avrebbe sottoposto, alle alunne selezionate per la borsa di studio del suo corso di preparazione all’esame, un regolamento con un codice di condotta: dalle minigonne durante i convegni organizzati dalla sua srl “Diritto e scienza” alla clausola del fidanzato che, per le sue “borsiste”, non avrebbe dovuto avere un quoziente intellettivo inferiore a 80/100, fino alla definizione di se stesso come una sorta di “agente superiore”.
“Di solito era qui alla fine dell’esame per confrontarsi con i suoi corsisti – spiega Angela Pozzi, 31enne di Ravenna, all’uscita dalla sede della prova –. Oggi però non lo vedo, non c’è”. Angela ha frequentato il corso di Bellomo, poi ha cambiato per quello tenuto da un altro consigliere di Stato. “Per superare il concorso bisogna studiare tantissimo, ma queste scuole aiutano: servono per fare pratica nello scrivere i temi, per avere qualcuno che li corregga, un confronto”. Non era tra le borsiste, ma conferma quanto denunciato finora. “Ho cambiato per il metodo d’insegnamento: Bellomo è preparatissimo e molto bravo, però trovavo difficoltà nel seguirlo, i ragionamenti erano troppo complessi per come sono fatta io”. Secondo Angela e tutti gli aspiranti magistrati che riusciamo a intercettare, comportamenti simili a quelli di Bellomo non sono molto diffusi.
“Credo riguardi la persona, il singolo, non tutto il sistema”. Federica, 29 anni, anche lei ex corsista di Bellomo la pensa uguale. “Se lo faceva, significa che c’era chi era disposto a firmare il contratto. Certo, poi Bellomo aveva una personalità particolare, si spingeva sempre oltre i limiti”. Non vuole che sia pubblicato il cognome: “Sembra un mondo grande questo, ma è piccolissimo”.
I concorrenti arrivano da ogni parte d’Italia, raccontano che le scuole più rinomate sono a Roma, a Napoli e a Milano. Hanno migliaia di studenti ogni anno e si sono anche attivate per tenere i corsi in videoconferenze nelle loro sedi sparse in tutta Italia. Pagano in media 500 euro a bimestre. “Sono venuta a provare il concorso – spiega Marta Benedini, 28 anni, bresciana – il corso che frequento a Milano è molto buono, il docente è preparato. Anche lui è un consigliere di Stato”. Lo ha pagato 1340 euro. Per tutti sono un business enorme senza il quale però è impossibile affrontare il concorso. “C’è bisogno di qualcuno che ti guidi, le materie sono troppe e troppo estese – spiega Laura, 29 anni, di Bari -. Ma negli ultimi tempi hanno almeno cambiato il metodo. Le tracce sono più generiche, non si concentrano solo sull’ultima giurisprudenza proprio per evitare di favorire solo chi può frequentare i corsi”. E quello di Bellomo era tra i più costosi: “Ero indeciso se sceglierlo – spiega Giulio Roscio, 27 anni, di Roma – si diceva fosse quello con la maggior percentuale di promossi”. Poi ha lasciato perdere. “Ne avevo considerato un altro, ma aveva davvero troppi iscritti”. Alla fine, la scelta ricade su un terzo”. E Bellomo? “Un caso isolato, non c’è dubbio. L’80 per cento delle persone che hanno passato questo concorso, ci sono riuscite dopo la scuola. Il resto: mosche bianche”.