Corriere della Sera, 24 gennaio 2018
Gas, cibi, essenze. Ogni città ha davvero il suo profumo
«Le città sono odori», scrive il palestinese Mahmud Darwish. Il Cairo è l’odore di mango e zenzero, Parigi di pane fresco, formaggi e «articoli da seduzione», Mosca di vodka con ghiaccio. «Era così, ma ora sono diventate tutte uguali», replica a distanza Wim Wenders, dolendosi di come prima trasmettessero «sensazioni che consentivano di capire dove ci si trovasse», mentre oggi le città sanno tutte della stessa cosa: di inquinamento e benzina.
Ora uno studio torna a dare ragione al poeta e romanziere, le città hanno davvero un proprio caratteristico profumo, «un’impronta chimica» che è un misto dei gas di scarico e delle essenze che chi ci abita si spruzza la mattina prima di uscire, delle rosticcerie, pasticcerie o torrefazioni, persino degli ospedali, delle scuole, un cocktail di «composti organici volatili» che ne racconta – tanto quando lo skyline – l’identità. Lo scrive la rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (Pnas), pubblicando uno studio dell’Università di Innsbruck che ha analizzato la concentrazione di molecole nell’aria del suo campus arrivando alla conclusione che «il suo profumo è piuttosto ordinario». Nel 2015, ci aveva provato Marco Vidal, industriale ed esperto profumiere, a rintracciare il profumo della sua Venezia, trovandolo infine in quello delle alghe ghiacciate in inverno, «un odore che riconoscevo ogni volta che mi allontanavo dalla città e ci tornavo», dice, spiegando come l’«impronta chimica» – individuata per la prima volta dallo studio austriaco – sia pure «una questione emotiva».
Ma il profumo, conclude lo studio, «influenza anche la formazione delle nuvole e può aiutare a costruire modelli climatici più precisi». Se il progresso ha coinciso con la lotta agli odori, riscoprire l’esistenza di un «profumo caratteristico» delle città racconta di un approccio alla vita più tondo – e più intimo, forse più green.