La Gazzetta dello Sport, 24 gennaio 2018
L’addio di Kobe Bryant è da Oscar. Il suo cortometraggio è in nomination
«Caro Basket,
dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzini di mio padre e a lanciare immaginari tiri della vittoria nel Great Western Forum ho saputo che una cosa era reale: mi ero innamorato di te. Un amore così profondo che ti ho dato tutto dalla mia mente al mio corpo dal mio spirito alla mia anima».
L’incipit della lettera di addio alla pallacanestro di Kobe Bryant comincia con «Dear Basketball» che è anche il titolo del film con cui il Black Mamba è in lizza per l’Oscar, il 4 marzo, nella sezione corti animati.
L’avventura che lo ha portato alla nomination per l’Oscar era cominciata nel modo più spontaneo: con una lettera. Quella che Kobe Bryant stampò in 20 mila esemplari e fece recapitare ai compagni di squadra in spogliatoio e sulle poltroncine dello Staples Center, la sua Arena. Era una lettera di addio, scritta con la passione e il trasporto di chi si congeda per sempre da un grande amore: il basket. Fu il modo in cui Kobe annunciò al mondo il suo ritiro il 29 novembre del 2015. Avrebbe giocato l’intera stagione, ma sarebbe stata l’ultima. Da allora quella busta nera con iniziali in oro ha percorso un viaggio lunghissimo. Una poesia diretta al cuore della gente si è trasformata in un messaggio importante per i bambini e poi in un corto animato. Una sua idea, un suo progetto: senza nessun suggeritore. Questo era esattamente ciò che voleva fare nella seconda parte della sua vita: scrivere. Ce lo rivelò in esclusiva pochi mesi più tardi. Disse: «Come vanno le giornate da pensionato? Benissimo. Perché ho una nuova grande passione: scrivere. È molto simile al fuoco che avevo dentro da piccolo per la pallacanestro. Quando mi sveglio la mattina, non vedo l’ora di arrivare in ufficio per mettermi a lavorare. Per scrivere e studiare». Ci raccontò di averne parlato con lo scrittore Paulo Coelho, che probabilmente lo ha incoraggiato ad andare avanti. Leggendo e rileggendo a voce alta quelle righe così vere di «Dear Basketball», aveva capito che la lettera poteva diventare qualcosa di straordinario. Allora s’informò su chi erano i migliori in circolazione del disegno animato e della musica. Un paio di telefonate e in poche settimane la sua nuova squadra era pronta.
MATITA Sarebbe stato realizzato tutto a matita, con pochissima digitalizzazione: «Perché sapevo che per questa storia ci voleva un tocco umano», ci spiegò. Il disegnatore è un Mvp: Glen Keane, uno dei cartoonist più geniali («La Bella e la Bestia», «La Sirenetta», «Aladino», «Pocahontas», «Tarzan»). Idem per la musica, affidata a John Williams, compositore da 5 premi oscar: Schindler’s List, Guerre Stellari, ET, Il violinista sul Tetto, Lo Squalo. Il corto, che dura circa quattro minuti, ha debuttato al Tribeca Film Festival a New York nell’aprile del 2017. Il cartone mette i brividi. La voce narrante che legge la lettera è la sua: calda e penetrante. Si vede lui bambino che con una palla fatta di calzini sporchi infila canestri dal letto della cameretta, poi mentre dribbla le sedie di casa. Infine, con la maglia dei Lakers: il successo. Come leggere un fumetto in bianco e nero e qualche tocco di colore.
MAMBA OUT Quando se ne andò nell’aprile del 2016, segnando 60 punti, disse semplicemente: «Mamba out». Fine di una vita: sono pronto per l’altra. Mica facile togliere la spina e ricominciare. Perché spesso sugli ex campioni si allunga l’ombra della depressione post-ritiro. Allora ci disse una cosa importante: «Succede perché per venti anni sei abituato all’adrenalina, al pubblico, a essere al centro dell’attenzione. Per questo devi cercare di sviluppare altri interessi. Perché fin dal principio sai che lo sport non sarà per sempre. Che prima o poi il momento di smettere arriverà e non puoi farti trovare impreparato. Mi ritengo fortunato ad avere questa nuova passione». Ha capito di essere sulla strada giusta quando Keane e Williams hanno acconsentito a lavorare con lui: «È stato bello che abbiano creduto in me e nelle mie possibilità di fare qualcosa che non fosse basket», spiegò al Tribeca quando il suo corto fece il debutto sul grande schermo. È stato certo di aver fatto centro, quando sua moglie Vanessa si è messa a piangere dopo aver visto il prodotto finito: «Lì ho compreso che eravamo riusciti a toccare l’animo nel profondo».
TWEET La sua creatura ha fatto il giro del mondo: un’acclamazione istantanea a cui forse non credeva neppure lui. Quel video lo hanno impiegato anche i Lakers solo poche settimane fa quando hanno ritirato le sue due maglie (la 8 e la 24). Altri brividi, altre emozioni. E adesso quella lettera d’amore scritta di suo pugno avrà una chance per un Oscar nella categoria «Corti Animati». «Questa candidatura va al di là della mia più fervida immaginazione. Significa davvero tanto che l’Academy consideri Dear Basketball degno di questo premio», ha twittato Kobe. Poi ha fatto i complimenti al suo team, Keane e Williams, come fosse ancora il capitano dentro uno spogliatoio. Se non gli daranno l’Oscar, sarà uno stimolo ad andare avanti con la sua nuova vita: story teller per bambini. Se lo vincerà verrebbe da chiedergli se sia più bello conquistare un anello o una statuetta. Forse ce lo dirà sul palco nel discorso di ringraziamento.